giovedì 20 dicembre 2007

emisferi...


Orientarsi nella complessità del mondo in cui viviamo, trovare la strada in un nuovo settore o la via d’uscita in una situazione bloccata, sono capacità della mente che dipendono da diverse abilità cognitive, dalla nostra esperienza, dalla creatività individuale. Dal punto di vista percettivo, la capacità di avere una visione unitaria del mondo circostante dipende dall’alleanza tra i due emisferi cerebrali: l’occhio, infatti, è una telecamera imparziale, mentre tocca al cervello illuminare questo o quell’aspetto particolare. L’emisfero destro è, insomma, una specie di faro che illumina con il suo fascio di luce tutto l’orizzonte. Il sinistro, più impegnato in altri compiti come quelli logico-linguistici, si limita a fare attenzione a ciò che avviene nel campo visivo destro, e il suo fascio di luce illumina soltanto metà del paesaggio in cui siamo immersi. I due emisferi sono infatti molto diversi : il sinistro è analitico, ed esamina la realtà componendola nelle sue parti, mentre il destro è sintetico, e ricompone le parti formando un tutto. Il sinistro è prevalentemente simbolico mentre il destro è concreto. Il sinistro è astratto e partendo da un dettaglio può rappresentare la realtà nella sua completezza mentre il destro è analogico: vede cioè le somiglianze tra due oggetti o situazioni ma non comprende le relazioni metaforiche che vi sono tra essi. Il sinistro dispone le cose e gli eventi in una dimensione temporale, mentre il destro non ha il senso del tempo e, come in un film, assimila il passato sia con il presente sia con il futuro. Per comprendere il mondo, i procedimenti logico analitici sono fondamentali, e la metà sinistra del nostro cervello ci fornisce gli strumenti necessari. Ma è anche necessaria una visione d’insieme, quella che dipende dalla metà destra. (Alberto Oliverio)

mercoledì 12 dicembre 2007

matematicamente


I bambini acquisiscono in primo luogo la sequenza dei numeri (uno, due, tre e così via) propria della loro lingua e della loro cultura. Fino all’età di tre anni alla richiesta di contare verbalmente fino al numero massimo possibile, le prestazioni dei bambini cinesi sono equivalenti a quelli dei bambini americani o italiani. In realtà, sia gli uni che gli altri devono memorizzare la sequenza dei primi nomi dei numeri (da uno a dieci).
Ma a quattro, e poi a cinque anni, sia pre un divario tra i bambini asiatici, le cui prestazioni migliorano molto rapidamente, ed i bambini occidentali, che progrediscono molto più lentamente. Questo è dovuto alle caratteristiche dei sistemi verbali di numerazione: quelli dei cinesi o dei coreani rendono molto evidente l’impiego della base dieci (si dice dieci-uno per undici; dieci-cinque per quindici; tre-dieci-otto per trentotto) mentre nei sistemi occidentali questo appare solamente più avanti nella catena verbale (diciassette in italiano). I bambini francesi, poi, si trovano in una situazione ancora più delicata, a causa dell’esistenza delle decine complesse: sessanta-dieci (in italiano settanta), quattro-venti (ottanta) e quattro-venti-dieci (novanta): una complessità che ritarda l’apprendimento e provoca errori. L’acquisizione della sequenza dei nomi dei numeri ha una influenza diretta sulla capacità di gestire mentalmente le quantità, perché permette di richiamare i numeri, combinarli, memorizzarli. Essa dipende, come abbiamo visto, dalle caratteristiche del sistema proprio di ogni lingua e solleva problemi specifici legati, per esempio, alla regolarità e alla sistematicità della costruzione dei nomi dei numeri complessi. Inoltre, questo tipo di acquisizione spiega almeno in parte le differenza nelle prestazioni osservate prima della scolarizzazione tra i bambini asiatici e occidentali. Fino a tre anni, i bambini cinesi e i bambini americani sanno contare fino a nove o dieci, ma a quattro anni la situazione cambia radicalmente: i piccoli cinesi imparano a contare fino a cinquanta, mentre gli americani arrivano soltanto fino a quindici. Questo spiega anche perché i bambini asiatici imparano più facilmente a scrivere i numeri in cifre arabe (12, 25, 43…) rispetto ai bambini occidentali. Semplicemente perché ritrovano nel codice indoarabo una organizzazione in base 10 (10, 11, 12, 13…) che i loro coetanei occidentali non possono percepire altrettanto facilmente e precocemente nelle loro denominazioni di quantità complesse.
Gli studi sullo sviluppo dei bambini durante la scuola elementare mostrano che i bambini asiatici usano le stesse strategie di soluzione delle operazioni dei bambini occidentali. Tuttavia, la distribuzione di queste strategie si differenzia molto presto: i bambini asiatici ricorrono più rapidamente alle strategie più evolute, perché hanno più memoria libera per impararle, dato che la memoria è poco sollecitata dal numero stesso. Prendiamo il caso che si debba memorizzare sette per otto uguale a cinquantasei. Anche se la cifra sette può sembrare corta da pronunciare, in realtà, da un punto di vista fonologico, è abbastanza lungo.
La lentezza della pronuncia limita le risorse di attenzione disponibili ai bambini occidentali, per cui la pronuncia della frase sette per otto uguale a cinquantasei è più lunga, e quindi più difficile da memorizzare. Di conseguenza i bambini occidentali memorizzano meno facilmente i risultati delle operazioni. Le proprietà della lingua cinese, dei nomi dei numeri e del fatto che sono costruiti in accordo con la base dieci, favoriscono le prestazioni numeriche.
Per colmare il divario dei paesi occidentali, è stato ideato un metodo per insegnare la numerazione come se si contasse in cinese: si direbbe dieci-uno invece di undici, dieci-due invece di dodici e via dicendo. Generalizzare questo approccio potrebbe essere interessante.
Gli aspetti culturali legati alle caratteristiche delle lingue e dei modi di denominazione delle quantità contribuiscono precocemente a creare delle differenze nelle prestazioni che si manifestano prima della scolarizzazione. Queste differenze nascono dalle conoscenze implicite che i bambini acquisiscono grazie alle interazioni quotidiane, e che hanno una influenza notevole sugli apprendimenti successivi: Per esempio quello della numerazione scritta con le cifre arabe o quello delle operazioni aritmetiche. La cultura ed i sistemi verbali della numerazione influiscono sull’età delle primi operazioni e sull’efficacia con cui sono calcolate. (Fayol M., L’enfant et le nombre, Delachaux & Niestlé, 1990).

lunedì 3 dicembre 2007

contare all'asiatica


(Articolo tratto dalla rivista di psicologia e neuroscienze Mente&Cervello
Michel Fayol, -professore di Psicologia sociale e cognitiva all’Università di Clemont-Ferrand -, Contare all’asiatica, Gen.-Feb. 2006, pag.78)
A quattro anni, un bambino cinese sa contare fino a 50, un bambino americano o europeo fine a15. Ma non si tratta di abilità innate: a fare la differenza sono i vocaboli con cui le lingue asiatiche indicano. L’ultima inchiesta effettuata dall’ OCSE sugli studenti di quaranta nazioni fino a 15 anni di età conferma le tendenze precedenti. Al primo posto c’è Hong Kong, al terzo la Corea del Sud, al sesto il Giappone e al nono Macao. Globalmente l’Italia si colloca ad un desolante 32° posto, cinque posizioni dopo la Spagna; più onorevole la posizione della Francia, che si colloca al 16°posto, tra Danimarca e Svezia, e un po’ prima della Gran Bretagna e della Germania, mentre a tenere alta la bandiera occidentale sono la Fillandia (seconda) e l’Olanda (quarta).
Questa situazione non è nuova. Negli anni ottanta, scatenò forti reazioni soprattutto negli Stati Uniti (oggi al 29° posto in classifica), stimolando una serie di studi alla ricerca dell’origine della superiorità dei paesi asiatici e delle scarse prestazioni degli alunni americani.
I risultati di varie esperienze ed osservazioni hanno messo in evidenza l’impatto di un insieme di fattori –in particolare la lingua, i comportamenti famigliari, la pedagogia- ma le nostre conoscenze attuali non permettono ancora di determinare il peso rispettivo di questi fattori e le loro eventuali interazioni. I diversi risultati ottenuti hanno portato ad interrogarsi sulle capacità matematiche degli esseri umani, e poi su quelle di altre specie. Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati i lavori sulle capacità aritmetiche di base degli adulti e dei bambini e sui processi cognitivi che intervengono durante lo sviluppo per metterle in moto. Per esempio è stato studiato come si effettuano le addizioni semplici, da quali fattori dipendono l’esattezza e la velocità della loro soluzione, quali sono gli errori più comuni, quando e come bambini finiscono per impararle. Il risultato di questi studi è un’affascinante miscela di influenze culturali e di fattoti (probabilmente) biologici.