mercoledì 6 febbraio 2008


Quando penso al numero 0.
Quando penso al numero 0 ho sempre l’impressione che sia un numero strano, forse misterioso, geniale, con un ché di meraviglioso. Un numero marziano: forse proveniente dallo spazio. Quello stare in centro è sinonimo di inizio e fine, di partenza e di arrivo, dell’andare avanti oppure indietro.
Parlare dello zero è come compiere un viaggio, vagare tra i numeri. Tutto parte da lì.
Ho sempre l’impressione che voglia dire tutto e forse nulla. Chissà quale sensazione deve aver provato chi lo inventò per la prima volta. E’ certamente il numero porta fortuna dei viaggiatori e degli avventurieri, perché ogni volta che si inizia una nuova avventura non si può che partire da zero. Certo! ogni volta con più esperienza, perché si è gia incontrato l’uno, il due ..., il quattro, ma pur sempre si riparte da zero.
E poi la sua forma: c’è una certa somiglianza con il labirinto. Come scriveva un botanofilo del XVI secolo: l’aiuola, il viale, la fontana sono le membra di un giardino, ma il centro vitale è il labirinto.
Ed in fondo mi piace pensare che la stessa cosa valga per zero: tra i tanti numeri, al centro c’è sempre lo zero.












Una giornata con i numeri.
Ore 5.45 suona la sveglia. Ore 5.58 dopo aver compiuto 14 passi dal letto raggiungo la cucina ed il contenitore del latte parzialmente scremato di 1000 ml, che contiene 3,25 g di proteine, 5,00g di carboidrati, 1,60g di grassi, 120mg di calcio. Ne bevo solo una tazza con 3 biscotti. Poi una spremuta: solitamente 2 arance. Ore 6.15 esco di casa. Dopo aver percorso 23 km ad una velocità che varia tra i 80-90Km/h. alle ore 7 raggiungo l’ufficio. Inserisco 30 centesimi nel distributore del caffé. Scende qualche goccia della bevanda nera. Come ogni giorno ne assaggio 1 sorso e lo getto nel primo cestino. Quindi mi dirigo verso il distributore dell’acqua. Altri 35 centesimi per una bottiglia d’acqua di 50cl. Alle ore 7.10 dopo aver salutato il custode con il solito buongiorno trasformato nel corso degli ultimi 4 anni in ciao, sono pronto per sedermi alla scrivania.
Ore 7,20 accendo il computer, leggo la posta elettronica. I messaggi variano ogni giorno dai 7 ai 13. Ore 7,30 arriva il compagno di reparto con i soliti 2 giornali afferrati di corsa alla fermata del tram. Sfoglio la prima e la seconda pagina del giornale e non arrivo mai alla terza. Sono più belle le immagini.
Dalle 7,40 alle 8,00 nelle diverse stanze dell’ufficio regna il silenzio. Alle ore 8 improvvisamente si sente un brusio che si trasforma lentamente in un chiasso tremendo. Arrivano i circa 150 impiegati che affolleranno le stanze del palazzo e di relativi uffici. Il chiasso continua fino alle nove quando fanno il loro ingresso i funzionari. Allora per circa 5 minuti regna nuovamente il silenzio, per poi lasciare il posto al mormorio e borbottio che si confonde con il suono dei telefoni.
Ore 10: sospirata pausa e altri 35 centesimi per l’acqua e 50 centesimi per la brioche.
Alle 10,16 riprende il lavoro. Tutti dirigono al loro posto. Dopo aver consultato 10 volte ogni 60 minuti l’orologio da polso, aver interpellato l’orologio da muro ogni 20 minuti ed aver chiesto che ore sono al vicino di scrivania ogni 30 minuti, decido di vedere nuovamente la posta elettronica e di scrivere 2 o 3 mail. Ricomincio a sfogliare documenti, buste paghe e carte di ogni tipo; ascolto suggerimenti e previsioni, indicazioni e consigli.
Dopo aver sentito un centinaio di lamentele, aver ascoltato migliaia di pettegolezzi, aver appreso un miliardo di notizie sulla vita di figli, mariti e mogli, suocere, cognati e nuore, e –nuovamente- sfogliato carte, documenti riguardanti il lavoro arrivano le ore 13.
E’ la volta del solito bar, del solito tavolo n.12, della solita sedia senza numero e del solito panino numero 7 con due fette di speck, tre di pomodoro e una foglia di insalata. Ore 13.45 ripresa del lavoro che continua senza avvenimenti improvvisi fino alle 16. Alle 16.01 percorro i 100 metri che separano l’uscita dell’ufficio alla macchina. Alle 16.03 transito lungo la carreggiata che mi porterà a casa. Dopo aver incontrato 6 semafori, 8 rotonde, 2 ponti sono finalmente a casa.

domenica 3 febbraio 2008

(Articolo tratto dalla rivista Pscicologia Contemporanea.
Alberto Oliverio, -professore di Psicologia all’Università La Sapienza di Roma, direttore dell’Istituto di Psicobiologia e Psicofarmacologia del CNR- Cervelli Creativi, Nov.-Dic. 1995, pag.22)

Creare, giocare, innovare, dar corpo ad una propria idea: tutto questo non ci rimanda soltanto ad una visione prettamente operazionale del cervello e dell’intelligenza, ma ad un’ottica più generale, in cui la mente prende forma a partire da un complesso gioco tra visioni del mondo, emozioni e desideri.
Cervello e creatività: il mitico emisfero destro.
Le definizioni della creatività sono spesso insoddisfacenti e si riferiscono ad un vasto insieme di atteggiamenti, capacità e comportamenti intelligenti ed innovatori.
Le origini della creatività risiedono infatti nel divario che esiste tra la realtà esterna e la sua rappresentazione mentale, proprio in quanto non esistono esperienze od eventi che vengono rappresentati come tali, senza ciò venire interpretati e sottoposti al vaglio di ipotesi che corrispondono a visioni del mondo: se il nostro cervello si limitasse a registrare informazioni, memorie neutre, assortirle per categoria come una procedura simile a quella di un computer, senza deviare in modo congruo od incongruo, volontario o casuale dalla razionalità analitica e dalle strategie fedelmente logico-computazionali, non vi sarebbero processi mentali plastici, divergenti e creativi. Quando consideriamo la creatività come espressione dell’attività cerebrale, di regola il primo approccio riguarda la separazione delle funzioni dei due emisferi cerebrali: da un alto siamo dotati di attività di tipo logico-simbolico, che si riallacciano alle strutture e alle funzioni del linguaggio e che sono tipiche dell’emisfero sinistro, dall’altro di attività gestaltiche, che sono tipiche dell’emisfero destro e che riguardano la nostra capacità di cogliere i diversi aspetti della realtà anche per i loro risvolti emozionali.
L’emisfero sinistro esercita un ruolo prevalente nelle attività simbolico-linguistiche e in forme di pensiero che potremo definire logico-computazionali.
L’emisfero destro viene invece considerato per le sue capacità d’insieme, per la sua specificità nel trattare informazioni di tipo visivo-spaziale, per il suo essere coinvolto in attività musicali e nella stessa intonazione del linguaggio, un’attività che fa capo a strutture logiche ma che è anche fortemente caratterizzata da valenza emozionali.
Questa separazione delle competenze emisferiche ha spesso portato a delle concezioni in cui la creatività è assimilata alle funzioni dell’emisfero destro, con i suoi processi emotivi e con la sua istintualità, che viene contrapposta alla razionalità dell’emisfero sinistro e ai suoi processi cognitivi di tipo semantico.
Eppure queste due tipologie delle attività mentali, quelle di tipo analitico-cognitivo e quelle di tipo sintetico-emotivo, non sono scisse né dal punto di vista dei loro singoli significati, né da quello delle strutture nervose che le sostengono, strettamente interconnesse dal punto di vista funzionale e strutturale.

venerdì 1 febbraio 2008

I disturbi dell’apprendimento.

I disturbi dell’apprendimento.
Questa definizione comprende quei disturbi della capacità di apprendimento circoscritti a specifiche funzioni psicomotorie, in presenza di una efficienza intellettiva il cui livello non sia tale da giustificarle.
I disturbi sono: la dislessia o disturbo della lettura; la discalculia o disturbo del calcolo; la disgrazia o disturbo dell’espressione scritta.
La discalculia è secondo il DSM-IV una capacità di calcolo significativamente inferiore a quanto prevedibile in base all’età cronologica e alla scolarizzazione, in assenza di un difetto delle capacità intellettive. E’ associata, solitamente, a dislessia e disgrafia. E’ caratterizzata da lentezza ed errori frequenti nell’esecuzione di operazioni matematiche. Possono essere compromesse le capacità linguistiche (esempio: comprendere e decodificare le operazioni ed i concetti matematici, i termini ec…), la capacità di riconoscere i simboli numerici, la capacità di apprendimento di concetti numerici (esempio: delle tabelline), la capacità di seguire sequenze di processi matematici.
Viene diagnosticata, di regola, dopo la seconda o terza elementare, quando le capacità aritmetiche vengono messe maggiormente in gioco dai programmi scolastici, ma nei soggetti con Q.I elevato può risultare evidente molto più tardi, al termine delle elementari. Non si hanno molti dati sulla sua evoluzione. (M. B. Fagiani, lineamenti di psicopatologia dell’età evolutiva, Carocci, roma, pag.77)
(C. Carnoldi, I disturbi dell’apprendimento, Il Mulino, Bologna 1991)