giovedì 20 dicembre 2007

emisferi...


Orientarsi nella complessità del mondo in cui viviamo, trovare la strada in un nuovo settore o la via d’uscita in una situazione bloccata, sono capacità della mente che dipendono da diverse abilità cognitive, dalla nostra esperienza, dalla creatività individuale. Dal punto di vista percettivo, la capacità di avere una visione unitaria del mondo circostante dipende dall’alleanza tra i due emisferi cerebrali: l’occhio, infatti, è una telecamera imparziale, mentre tocca al cervello illuminare questo o quell’aspetto particolare. L’emisfero destro è, insomma, una specie di faro che illumina con il suo fascio di luce tutto l’orizzonte. Il sinistro, più impegnato in altri compiti come quelli logico-linguistici, si limita a fare attenzione a ciò che avviene nel campo visivo destro, e il suo fascio di luce illumina soltanto metà del paesaggio in cui siamo immersi. I due emisferi sono infatti molto diversi : il sinistro è analitico, ed esamina la realtà componendola nelle sue parti, mentre il destro è sintetico, e ricompone le parti formando un tutto. Il sinistro è prevalentemente simbolico mentre il destro è concreto. Il sinistro è astratto e partendo da un dettaglio può rappresentare la realtà nella sua completezza mentre il destro è analogico: vede cioè le somiglianze tra due oggetti o situazioni ma non comprende le relazioni metaforiche che vi sono tra essi. Il sinistro dispone le cose e gli eventi in una dimensione temporale, mentre il destro non ha il senso del tempo e, come in un film, assimila il passato sia con il presente sia con il futuro. Per comprendere il mondo, i procedimenti logico analitici sono fondamentali, e la metà sinistra del nostro cervello ci fornisce gli strumenti necessari. Ma è anche necessaria una visione d’insieme, quella che dipende dalla metà destra. (Alberto Oliverio)

mercoledì 12 dicembre 2007

matematicamente


I bambini acquisiscono in primo luogo la sequenza dei numeri (uno, due, tre e così via) propria della loro lingua e della loro cultura. Fino all’età di tre anni alla richiesta di contare verbalmente fino al numero massimo possibile, le prestazioni dei bambini cinesi sono equivalenti a quelli dei bambini americani o italiani. In realtà, sia gli uni che gli altri devono memorizzare la sequenza dei primi nomi dei numeri (da uno a dieci).
Ma a quattro, e poi a cinque anni, sia pre un divario tra i bambini asiatici, le cui prestazioni migliorano molto rapidamente, ed i bambini occidentali, che progrediscono molto più lentamente. Questo è dovuto alle caratteristiche dei sistemi verbali di numerazione: quelli dei cinesi o dei coreani rendono molto evidente l’impiego della base dieci (si dice dieci-uno per undici; dieci-cinque per quindici; tre-dieci-otto per trentotto) mentre nei sistemi occidentali questo appare solamente più avanti nella catena verbale (diciassette in italiano). I bambini francesi, poi, si trovano in una situazione ancora più delicata, a causa dell’esistenza delle decine complesse: sessanta-dieci (in italiano settanta), quattro-venti (ottanta) e quattro-venti-dieci (novanta): una complessità che ritarda l’apprendimento e provoca errori. L’acquisizione della sequenza dei nomi dei numeri ha una influenza diretta sulla capacità di gestire mentalmente le quantità, perché permette di richiamare i numeri, combinarli, memorizzarli. Essa dipende, come abbiamo visto, dalle caratteristiche del sistema proprio di ogni lingua e solleva problemi specifici legati, per esempio, alla regolarità e alla sistematicità della costruzione dei nomi dei numeri complessi. Inoltre, questo tipo di acquisizione spiega almeno in parte le differenza nelle prestazioni osservate prima della scolarizzazione tra i bambini asiatici e occidentali. Fino a tre anni, i bambini cinesi e i bambini americani sanno contare fino a nove o dieci, ma a quattro anni la situazione cambia radicalmente: i piccoli cinesi imparano a contare fino a cinquanta, mentre gli americani arrivano soltanto fino a quindici. Questo spiega anche perché i bambini asiatici imparano più facilmente a scrivere i numeri in cifre arabe (12, 25, 43…) rispetto ai bambini occidentali. Semplicemente perché ritrovano nel codice indoarabo una organizzazione in base 10 (10, 11, 12, 13…) che i loro coetanei occidentali non possono percepire altrettanto facilmente e precocemente nelle loro denominazioni di quantità complesse.
Gli studi sullo sviluppo dei bambini durante la scuola elementare mostrano che i bambini asiatici usano le stesse strategie di soluzione delle operazioni dei bambini occidentali. Tuttavia, la distribuzione di queste strategie si differenzia molto presto: i bambini asiatici ricorrono più rapidamente alle strategie più evolute, perché hanno più memoria libera per impararle, dato che la memoria è poco sollecitata dal numero stesso. Prendiamo il caso che si debba memorizzare sette per otto uguale a cinquantasei. Anche se la cifra sette può sembrare corta da pronunciare, in realtà, da un punto di vista fonologico, è abbastanza lungo.
La lentezza della pronuncia limita le risorse di attenzione disponibili ai bambini occidentali, per cui la pronuncia della frase sette per otto uguale a cinquantasei è più lunga, e quindi più difficile da memorizzare. Di conseguenza i bambini occidentali memorizzano meno facilmente i risultati delle operazioni. Le proprietà della lingua cinese, dei nomi dei numeri e del fatto che sono costruiti in accordo con la base dieci, favoriscono le prestazioni numeriche.
Per colmare il divario dei paesi occidentali, è stato ideato un metodo per insegnare la numerazione come se si contasse in cinese: si direbbe dieci-uno invece di undici, dieci-due invece di dodici e via dicendo. Generalizzare questo approccio potrebbe essere interessante.
Gli aspetti culturali legati alle caratteristiche delle lingue e dei modi di denominazione delle quantità contribuiscono precocemente a creare delle differenze nelle prestazioni che si manifestano prima della scolarizzazione. Queste differenze nascono dalle conoscenze implicite che i bambini acquisiscono grazie alle interazioni quotidiane, e che hanno una influenza notevole sugli apprendimenti successivi: Per esempio quello della numerazione scritta con le cifre arabe o quello delle operazioni aritmetiche. La cultura ed i sistemi verbali della numerazione influiscono sull’età delle primi operazioni e sull’efficacia con cui sono calcolate. (Fayol M., L’enfant et le nombre, Delachaux & Niestlé, 1990).

lunedì 3 dicembre 2007

contare all'asiatica


(Articolo tratto dalla rivista di psicologia e neuroscienze Mente&Cervello
Michel Fayol, -professore di Psicologia sociale e cognitiva all’Università di Clemont-Ferrand -, Contare all’asiatica, Gen.-Feb. 2006, pag.78)
A quattro anni, un bambino cinese sa contare fino a 50, un bambino americano o europeo fine a15. Ma non si tratta di abilità innate: a fare la differenza sono i vocaboli con cui le lingue asiatiche indicano. L’ultima inchiesta effettuata dall’ OCSE sugli studenti di quaranta nazioni fino a 15 anni di età conferma le tendenze precedenti. Al primo posto c’è Hong Kong, al terzo la Corea del Sud, al sesto il Giappone e al nono Macao. Globalmente l’Italia si colloca ad un desolante 32° posto, cinque posizioni dopo la Spagna; più onorevole la posizione della Francia, che si colloca al 16°posto, tra Danimarca e Svezia, e un po’ prima della Gran Bretagna e della Germania, mentre a tenere alta la bandiera occidentale sono la Fillandia (seconda) e l’Olanda (quarta).
Questa situazione non è nuova. Negli anni ottanta, scatenò forti reazioni soprattutto negli Stati Uniti (oggi al 29° posto in classifica), stimolando una serie di studi alla ricerca dell’origine della superiorità dei paesi asiatici e delle scarse prestazioni degli alunni americani.
I risultati di varie esperienze ed osservazioni hanno messo in evidenza l’impatto di un insieme di fattori –in particolare la lingua, i comportamenti famigliari, la pedagogia- ma le nostre conoscenze attuali non permettono ancora di determinare il peso rispettivo di questi fattori e le loro eventuali interazioni. I diversi risultati ottenuti hanno portato ad interrogarsi sulle capacità matematiche degli esseri umani, e poi su quelle di altre specie. Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati i lavori sulle capacità aritmetiche di base degli adulti e dei bambini e sui processi cognitivi che intervengono durante lo sviluppo per metterle in moto. Per esempio è stato studiato come si effettuano le addizioni semplici, da quali fattori dipendono l’esattezza e la velocità della loro soluzione, quali sono gli errori più comuni, quando e come bambini finiscono per impararle. Il risultato di questi studi è un’affascinante miscela di influenze culturali e di fattoti (probabilmente) biologici.

mercoledì 28 novembre 2007

Andrew Wiles un genio della matematica.

Andrew Wiles un genio della matematica.

Creare la matematica è una esperienza sofferta e misteriosa. La matematica non è una marcia in perfetto ordine lungo un corso sgombro e diritto, ma è un viaggio in una strana terra selvaggia, dove spesso gli esploratori si perdono. (Simon Singh, L’ultimo teorema di Fermat, Rizzoli, Milano 1997, pag.96)
Jacques Hadamard, studioso della creatività, sostiene che esiste uno stretto intreccio tra emozione e cognizione, anche nel caso della creatività scientifica. Nessuna verità può nascere dal genio di Archimede o di Newton senza un’emozione poetica o un brivido dell’intelligenza, che indica come anche le attività cognitive più strutturate, anche quelle degli scienziati ritenuti logici per eccellenza, in realtà comportano una componente emotiva.
Hadamard nota anche che nel processo di scoperta scientifica si può verificare quello che gli anglosassoni definiscono insight, una appercezione improvvisa rilevatrice di qualcosa a lungo ricercato. Numerosi scienziati sembrano confermare una simile possibilità: Karl Friedrich Gauss, l’ideatore delle geometrie non euclidee, riferisce di aver avuto un vero e proprio colpo di fulmine, un momento di turbolenza in cui gli si rivelò l’esistenza di una geometria non tradizionale; anche Friedrich August Kekulé affermò di aver sognato un serpentello che si mordeva la coda e che questa immagine gli suggerì la formula della struttura ciclica del benzene.
L’intelligenza creativa che non procede in modo sequenziale e sistematica ma a salti anziché gradualmente, per analogia e divergenza anziché per strategie convergenti.
Questo aspetto rimanda all’esistenza di una molteplicità di processi intelligenti, di logiche difformi rispetto a quella istituzionale, evidenti a partire dall’infanzia, prima cioè che il pensiero venga strutturato attraverso il linguaggio e le griglie del pensiero adulto, orientato verso un fine prevalente.
La creatività o la genialità fa capo ad un più globale intreccio tra motivazioni interne e sollecitazioni sociali, bisogni e rinforzi, curiosità ed emozioni che nascono dall’aver scoperto o realizzato qualcosa di nuovo. Creare, giocare, innovare, dar capo ad una propria idea non rimanda soltanto ad una visione prettamente operazionale del cervello e dell’intelligenza ma ad un’ottica più generale in cui la mente prende forma a partire da un complesso gioco tra visioni del mondo, emozioni e desideri. (J.Hadamard, La psicologia dell’invenzione, Cortina, Milano 1984)

giovedì 15 novembre 2007

il genio della porta accanto

Intervista a Gianluca M. (novembre 2007)

Gianluca M. è un ragazzo di poco meno di 30 anni, laureatosi qualche anno fa in Ingegneria Elettronica presso l’Università di Ancona.
Dato il percorso di studi intrapreso ho ritenuto fosse la persona giusta per questa intervista. Ha accettato di buon grado di sottoporsi a questo esperimento, dando risposte in parte inaspettate.
• fin da piccolo amava la matematica (aritmetica) perché è una scienza oggettiva mentre aveva un rapporto poco piacevole con l’italiano perché materia soggettiva
• Ricorda che da piccolo diceva le tabelline con la Nonna e ne ha un buon ricordo
• molto veloce a fare i conticini e ripetere le tabelline
• aiutava la Mamma a pesare gli ingredienti con la bilancia
• ottimo rapporto anche alle medie
• faceva i compiti il più delle volte, era veloce e svolgeva i compiti in modo autonomo
• usava matemetica nella vita
• sia elementari che medie le verifiche andavano bene
• preso in giro alle elementari e medie perché era troppo bravo
• quindi rapporto estremamente positivo con la matematica
• idee chiare sulla scelta del liceo: perché gli piaceva la matematica e le materie scentifiche
• la matematica gli piaceva ancora rispetto al primo ciclo di scolarizzazione
• adorava la Prof. di matematica nonostante fosse molto severa e gli avesse dato 4 in una delle prime verifiche
• pur non andando bene come prima continuava ad apprezzare la materia, pur non facendo i compiti e non studiandola a dovere
• gli piacevano le persone severe che spiegavano e la sua Prof. era così
• usava la matemetica come approccio razionale della realtà, per giudicare le cose che ci circondano in modo oggettivo e non soggettivo
• gli piacevano i giochini di intelligenza su base logico-matematica
• non ha odiato la matematica a fine liceo, di conseguenza nessun pentimento per la scelta effettuata
• le Professoresse lo coinvolgevano nell’aspetto pratico della materia
• dopo il liceo avrebbe voluto iscriversi a fisica o matemetica ma dopo attenta valutazione si è iscritto ad ingegneria valutando i possibili sbocchi dopo la laurea ed anche il lato economico/remunerativo
• mai dubbi sulla possibilità di non riuscire e completare gli studi svolti (unico dubbio con analisi 2 per svariati motivi: Prof. con scarse qualità relazionali, non riusciva a studiare nel modo adeguato, ciò che lo ha portato per un breve periodo ad odiare la matematica)
• ama avere una visione razionale della realtà
• nonostante abbia fatto analisi 1 nove volte mai scoraggiato “la devo fare e ci devo riuscire”
• si ricorda molto bene un progetto di meccanica razionale(prova pratica all’università)
• usa al matematica nel suo lavoro
• direbbe a suo figlio di studiare la matemetica perché è una materia affascinante e la spiegherebbe volentieri a suo figlio
• la matematica nella vita è la materia che serve di più in assoluto
• la matematica usandola diventa tua, parte di te
• crede che un bambino abbia fin da piccolissimo una matematica interna
• è una persona rigida e non molto flessibile
• non si sente bravo in matematica ma gli piacerebbe molto esserlo (è molto esigente con sé stesso, gli piace la perfezione, è molto ambizioso e non è mai contento)
• sa di sottostimarsi
Per sua stessa ammissione il rapporto di Gianluca con la matematica è conflittuale. La sua scelta di approfondire la conoscenza di tale materia si è a volte scontrata con difficoltà oggettive durante il percorso, che però non l’hanno mai portato a pentirsi del cammino intrapreso.

lunedì 5 novembre 2007

La matematica (e non solo) s’impara muovendosi.

(Articolo tratto dalla rivista di psicologia e neuroscienze Mente&Cervello, n.20, anno IV, marzo-aprile 2006)

La matematica (e non solo) s’impara muovendosi.
Silenziosi, fermi e composti. Anche se negli ultimi decenni questa immagine degli alunni in classe non è più attuale, l’idea che quanto più regnano silenzio e immobilità tanto migliori sono le opportunità di concentrazione è difficile da sradicare. A quanto pare, invece, non è cosi. Una ricca ed espressiva gestualità consente di insegnare meglio, ma non solo: la ripetizione spontanea dei movimenti e degli atteggiamenti dell’insegnante da parte del bambino ha impatto positivo sull’apprendimento. Ad affermarlo è una ricerca svolta da psicologi dell’Università di Chicago, pubblicata sul Journal of Cognition and Develepoment, che ha esaminato alcune classi di alunni delle elementari, alle prese con i rudimenti della matematica. Ai bambini veniva mostrato come risolvere, per esempio, un semplice problema, come trovare la soluzione dell’equazione
4 + 6 + 3 = 4 +… .
Successivamente veniva sottoposto loro un altro problema simile, ma mentre ad alcuni era chiesto di eseguire il compito solo verbalmente, ad altri veniva detto di risolverlo come aveva fatto il maestro e se non lo facevano spontaneamente, di mimarne anche la gestualità. I risultati migliori sono stati invariabilmente ottenuti dagli studenti che erano liberi di sfruttare anche i movimenti del corpo, ed in particolare da quelli che tendevano a farlo senza esserne richiesti.
Secondo Susan Goldin-Meadow, la coordinatrice della ricerca, una gestualità spontanea può aiutare l’apprendimento sia attraverso un’ottimizzazione della memoria necessaria per risolvere il problema, sia fornendo una immagine supportata da un’azione che aiuta a comprendere e ricordare la lezione.
15.10.2007
Mappe concettuali
Le mappe concettuali sono uno strumento grafico per rappresentare informazione e conoscenza, teorizzato da Joseph Novak, negli anni '70, le cui caratteristiche essenziali sono le seguenti:
 la logica d'insieme è connessionista,
 la mappa si sviluppa dall'alto verso il basso, a partire da un concetto iniziale,
 la struttura generale delle connessioni è di tipo inclusivo, dal generale al particolare, dal sovraordinato al sottordinato,
 oltre a quelle di inclusione, tra i concetti sono possibili anche relazioni trasversali.
 le relazioni tra i nodi sono orientate e soprattutto devono essere esplicitate, in linea di massima attraverso indicatori forti, quali verbi e connettivi sintattici,
 la relazione tra due concetti costituisce una proposizione,
 l'insieme della mappa ha una struttura di significato che è data da concetti, relazioni, proposizioni.
 se le relazioni non sono esplicitate con un'etichetta precisa, la mappa perde di significato, fino a non averne del tutto;
 l'impostazione grafica deve essere omogenea e lineare.
Chi era Novak:
Joseph D. Novak, completa i suoi studi all'Università del Minnesota nel 1958, insegna biologia al Kansas State Teachers College di Emporia (1957-59), biologia e aggiornamento per gli insegnanti alla Purdue University (1959-67). Dal 1967 al 1995, è Professore di Didattica della Biologia presso il Dipartimento di Scienze dell'Educazione nella Cornell University (nello Stato di New York), dove la sua ricerca si focalizza sui processi di apprendimento, sugli studi sull'educazione e sulla creazione e la rappresentazione della conoscenza. Sviluppa una teoria sull'educazione per guidare ricercatori e formatori, pubblicata per la prima volta nel 1977 e aggiornata nel 1998. Attualmente è Professore Emerito alla Cornell University e Ricercatore Senior all'Institute for Human and Machine Cognition (IHMC), un istituto di ricerca no-profit della Florida University, affiliato con diverse università del Paese. Novak è autore e co-autore di 26 testi, di più di 120 tra articoli e varie pubblicazioni; ha tenuto e tiene conferenze nelle scuole, nelle università e nelle aziende; ha ricevuto numerosi e prestigiosi riconoscimenti in varie parti del mondo. Il suo attuale lavoro di ricerca riguarda studi sulle idee degli studenti in merito all'apprendimento e all'epistemologia, sui metodi per l'applicazione di idee e strumenti educativi (come le mappe concettuali) negli ambienti aziendali e nei programmi di distance learning; include, infine, lo sviluppo di mappe concettuali avanzate per la costruzione dell'apprendimento, attraverso l'utilizzo di CMapping con Internet e altre risorse. I suoi saggi più noti sono: A theory of education (1977); Learning How to Learn, Cambridge and NY: Cambridge University Press (1984), pubblicato in Italia nel 1989 dalla SEI, Imparando a imparare; Learning, Creating, and Using Knowledge: Concept maps as facilitative tools for schools and corporations, Mahwah, N.J.,Lawrence Erlbaum & Assoc. (1998), pubblicato in Italia nel 2001 dalla Erikson,L'apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza.
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Joseph_Novak"
Le mappe concettuali servono per rappresentare in un grafico le proprie conoscenze intorno ad un argomento secondo un principio cognitivo di tipo costruttivista, per cui ciascuno è autore del proprio percorso conoscitivo all'interno di un contesto, e mirano a contribuire alla realizzazione di apprendimento significativo, in grado cioè di modificare davvero le strutture cognitive del soggetto e contrapposto all'apprendimento meccanico, che si fonda sull'acquisizione mnemonica. L’iniziatore del costruttivismo è lo psicologo statunitense George Kelly che già negli anni '50 (con l’opera: Psicologia dei Costrutti Personali, del 1955) precorse gli sviluppi epistemologici e metateorici della più recente scienza cognitiva, detta "di secondo ordine". Non si tratta però di un movimento completamente nuovo, in quanto i primi pensieri costruttivisti risalgono al filosofo napoletano Giambattista Vico (1668-1744), il quale diceva: "Il vero è identico al fatto", o anche "...la verità umana è ciò che l’uomo conosce costruendolo con le sue azioni e formandolo attraverso di esse". Oltre al citato Kelly, sono considerati padri “moderni” del costruttivismo Jean Piaget, Humberto Maturana, Ernst von Glasersfeld, Francisco Varela, Heinz von Foerster, Niklas Luhmann , Paul Watzlawick e Lev Vygotskij.

Cosa intendiamo per scienza cognitiva?
La locuzione scienze cognitive (o scienza cognitiva) si riferisce allo studio dei processi cognitivi, ovvero allo studio dei processi riguardanti la mente, la memoria e l'intelligenza. Attualmente non è costituita una disciplina singola in grado di occuparsi di tutte le varie sfaccettature della mente; pertanto si parla di scienze cognitive al plurale per raccogliere le tematiche di un'area di ricerca marcatamente interdisciplinare. Tipici argomenti studiati nelle scienze cognitive includono la percezione, l'attenzione e la coscienza. A tal proposito interessante può essere la lettura G.Kanizsa, P.Legrenzi, M.Sonino “Percezione , linguaggio e pensiero”, il Mulino, Urbino, 1993pag.14 “dove si sostiene sostanzialmente, che il metodo sperimentale non è l’unico metodo per acquisire sapere conoscenze scientifiche sull’individuo e che in determinate aree di ricerca, può rivelarsi più produttiva ed euristica l’osservazione sistematica nell’ambiente reale invece che la sperimentazione in laboratorio” . Gli autori ricordano e sottolineano l’importanza dei metodi di indagine che vengono utilizzati, metodi che non dipendono soltanto dall’impostazione teorica dei ricercatori, ma anche dal tipo di fenomeno investigato. “Il metodo sperimentale non è applicabile quando il fenomeno psicologico non è direttamente raggiungibile, ma soltanto inferito attraverso la mente, e quando il fenomeno psicologico viene alterato non solo da un eventuale intervento dello sperimentatore, ma persino dalla semplice osservazione” . Alcune delle discipline partecipanti sono la psicologia (in particolar modo la psicologia dell'area cognitiva, o semplicemente psicologia cognitiva, che è parte integrante della psicologia generale), la linguistica, le neuroscienze, l'antropologia cognitiva, l'intelligenza artificiale (ad esempio con ricerche riguardanti reti neurali) e la filosofia (particolarmente la filosofia della mente, la filosofia del linguaggio e la filosofia della matematica, ma anche la filosofia della scienza e l'epistemologia).
Tornando al costruttivismo sottolineamo i concetti base: I principali assunti costruttivisti sono:
1) l'individuo partecipa attivamente alla costruzione della conoscenza;
2) in ogni soggetto esiste una struttura cognitiva di base che dà una determinata forma all'esperienza;
3) l'uomo viene visto come un sistema auto-organizzantesi che protegge e mantiene la propria integrità (autopoiesi).
Concetto fondamentale del costruttivismo è che la conoscenza umana, l'esperienza, l'adattamento, sono caratterizzati da una partecipazione attiva dell'individuo. La realtà non viene considerata come qualcosa di oggettivo, indipendente dal soggetto che ne fa esperienza, perché è il soggetto stesso che la crea, partecipando in maniera attiva alla sua costruzione. È al tempo stesso costruttore e ordinatore della realtà, colui che stabilisce un ordine tra i tanti possibili; non un ordine qualsiasi, bensì quello a lui più utile e funzionale alle proprie attività. "L'ambiente, così come noi lo percepiamo, è una nostra invenzione".
Per una definizione di MAPPE CONCETTUALI NELLA DIDATTICA vedi:










22.10.2007

Isaac Newton

Where the statue stood
Of Newton with his prism and silent face,
The marble index of a mind forever
Voyaging trought strange seas of thought, alone

W.Wordsworth

Si interessò al calcolo differenziale e integrale. Portò a maturazione idee già presenti in altri matematici come Bonaventura Cavalieri, Cartesio, Pierre Fermat, Huygens, Jons Wallis, James Gregory. Aprì nuovi campi del sapere, scoprì “idee fondamentali e unificanti” che erano nascoste dai tempi dei greci.
Scoprì il teorema dei binomi, cioè il metodo per calcolare la quantità (1+X)р
Per una lettura su Newton: Emilo Segrè, “Personaggi e scoperte della fisica classica”, Mondatori, Milano 1996, pag. 62

Noi e i numeri

“Il giornale pubblicato il 12 giugno 1998, costa 45 penny. Lo sport è a pag.28. Il ministro del tesoro e delle finanze venderà proprietà pubbliche per 12 miliardi di sterline – 4 miliardi l’anno. Le autorità locali si aspettano di raccogliere 2,75 miliardi; nel settore del pubblico impiego i salari aumentano del 2,25%; l’investimento del governo è diminuito dello 0,8% del prodotto interno lordo; l’investimento netto nelle infrastrutture fino al 2002 sarà di 14 miliardi… ….
Stephen Lawrence, un ragazzo di 18 anni, fu assassinato nel 1993; sua madre ha 45 anni e 5 uomini, convocati a testimoniare ne hanno rispettivamente 21,22,21,20 e 22… …
Ci sono 51 numeri su di una pagina del giornale che sto leggendo. Mi ci sono voluti meno di 5 minuti a leggerla, mentre facevo colazione”. Per Brian Buttherworth in un ora ci imbattiamo in circa mille numeri, in una giornata 16.000 e in un anno in circa 6 milioni.
Brian Buttherworth, Intelligenza matematica, Rizzoli, Milano 1999, pag.7

Strumento di calcolo: Abaco
Vedi la voce nomografia

lunedì 15 ottobre 2007


8.10.2007

paolo aiello
corso: matematiche elementari da un punto di vista superiore
Prof. : Giovanni Lariccia

La matematica

“I Pitagorici per primi si
applicarono alle matematiche e
le fecero progredire. Pensarono
che gli elementi del numero fossero
elementi di tutte le cose”



Ogni volta che qualcuno parla di matematica, sopraggiunge nella mia mente un’unica riflessione “non ho mai capito nulla della matematica e penso che mai nulla capirò”.
Altra “sventura”: la scoperta che la fiaba “Alice nel paese delle meraviglie”, una delle favole che maggiormente mi veniva raccontata nell’infanzia, era stata scritta non da un letterato, da un grammatico, ma da un matematico esperto di algebra della logica e di logica formale, professore di Oxford, l’inglese Charles Ludwidge Dodgson , noto come Lewis Carroll.
Forse qualcuno in passato ha provato a spiegarmi l’importanza della matematica, ma la stessa definizione continua ad apparirmi oscura. Così mi appare “quasi enigmatico” il significato di figure geometriche come il rombo, il trapezio o il parallelepipedo. Che cosa mai saranno quelle figure?
Ricordo il viso deluso della maestra delle elementari ogni volta che le consegnavo i compiti di matematica: un misto tra compatimento e rassegnazione.
Alle medie rammento “il lancio del mio quaderno” dalla cattedra sino al fondo dell’aula del professore di matematica: una parabola perfetta.
Indelebile nella mente, il volto paffuto dell’insegnante di matematica e fisica al liceo, quando con un riso beffardo, tra l’ironico e il maligno, ogni fine anno mi diceva: “ci vediamo a settembre per l’esame di riparazione”.
Come dimenticare!
Nonostante tutto la matematica esercita anche su di me un certo fascino.




C’è un capitolo in tutti i libri di filosofia dedicato alla matematica che da sempre attrae la mia attenzione, intitolato “Logica e matematica nell’ottocento. Logica e linguaggio: Frege, Russel e Wittgenstein”[2] o “Lo sviluppo critico delle matematiche. La seconda rivoluzione scientifica”[3] che mai nessun professore di filosofia domanderà ai propri alunni, ma che spiega quanto significativo sia stato lo sviluppo delle scienze e l’influenza che esse hanno avuto sullo sviluppo del pensiero, sul modo di vivere dell’uomo. “Per la società contemporanea “fare scienza” è diventato un modo indispensabile di confrontarsi con la realtà collettivamente, coscientemente, finalisticamente, per capire, progettare, trasformare, trasformarsi. Dunque il “fare scienza” costituisce uno degli aspetti chiave della cultura in senso antropologico e come tale si riflette sui modi particolari di vivere di tutti”[4].
Ho la convinzione che vi sia uno stretto legame tra la matematica e la lingua, tra i numeri e la scrittura.
Mi piace pensare che si possa estendere anche alla matematica le parole di Bruno Bettelheim sulla lettura e sulla scrittura “Nulla è pari per importanza alla lettura e alla scrittura. Per questo è così importante il modo in cui l’apprendimento della lettura è sperimentata dal bambino. Il modo in cui essa viene insegnata determinerà il modo di considerare il sapere in generale, il modo di concepirsi come discente e addirittura come persona”[5].
E mi domando: esiste un “senso dei numeri” che permette di effettuare calcoli e operazioni? Come il nostro cervello rappresenta i numeri? “Cercando di descrivere come era riuscito ad arrivare a concettualizzazioni matematiche complesse come quella della teoria della relatività, Albert Einstein spiegava: Le parole e il linguaggio non sembrano avere alcun ruolo nelle mie elaborazioni mentali. Le entità psicologiche che uso come mattoni per i miei pensieri sono segni o immagini che riproduco o ricombino come voglio. In passato, molti scienziati hanno speculato sulla possibilità che esista un senso del numero innato del tutto indipendente dal linguaggio”. Molti esperimenti “hanno permesso di chiarire alcuni meccanismi cerebrali legati alla nostra capacità di contare. La parte inferiore del lobo frontale dell’emisfero sinistro è implicata nella codifica verbale di numeri che vengono successivamente utilizzati per effettuare operazioni esatte. La moltiplicazione 3x5=15 coinvolge dunque questa area. Le stime e le approssimazioni dipendono invece dall’attività di una parte della corteccia parietale posteriore di entrambi gli emisferi . In questa area i numeri vengono rappresentati utilizzando un codice visivo-spaziale. Inoltre, alcune
regioni della corteccia parietale inferiore che sono coinvolte nell’esecuzione di calcoli aritmetici fanno parte anche dei circuiti cerebrali che controllano i movimenti delle dita della mano”[6].
[1] G.Reale, D.Antiseri, “Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi”, Editrice La Scuola, Brescia 1983, pag.23
[2] G. Cambiano, M. Mori, “Storia e antologia della filosofia”, Edizioni Laterza, Roma-Bari 1994, pag. 536
[3] N.Abbagnano, G.Fornero, “Filosofi e filosofie nella storia”, Paravia, Milano 1992, pag.415
[4] M.Gagliardi, E. Giordano, “Il contributo delle scienze sperimentali”, in Laboratori in rete, Franco Angeli, Milano 2003, pag.29
[5] P.Le Bohac, B. Campolmi, “Leggere e scrivere con il metodo naturale”, Edizioni Junior, Bergamo 2001, pag.151
[6] G. Mirabella, <>, in Mente&Cervello, n.10 luglio-agosto 2004, pag.65