domenica 20 gennaio 2008

newton


Un genio
Isaac Newton.
Una personalità complicatissima da un punto di vista psicologico, tanto da costituire un ottimo argomento per gli psicoanalisti. In lui si riuniscono uno dei massimi intelletti della razza umana e debolezze difficili da spiegare. Il suo comportamento può essere interpretato solo tenendo conto che egli era diverso dai comuni mortali, sia dal punto di vista emotivo che su quello intellettuale. E’ quindi molto difficile farsi un’opinione precisa di Newton, anche perché tali e tanti sono stati gli adulatori nel corso della sua vita e tra i suoi antichi biografi, che si diventa scettici a proposito delle loro dichiarazioni. I dubbi crescono quando queste apologie vengono confrontate con un certo numero di documenti e con fatti che gettano ombre scure sulla sua personalità.
Newton nacque prematuro: si racconta che la madre temette per la sua sopravvivenza tanto era piccolo. Quando ancora era piccolo la madre si risposò e fu affidato alla nonna. Visse poi, dopo la morte del secondo marito della madre, con due sorellastre ed un fratellastro. Queste vicissitudini, i diversi trasferimenti da una abitazione all’altra, sembrano avergli profondamente turbato la personalità.
Durante le scuole elementari non mostrò particolari abilità. Era bravo nel costruire oggetti e giocattoli meccanici. Pur possedendo proprietà che avevano bisogno di cure e lavoro, non volle fare l’agricoltore e fu ammesso al Trinità College: correva l’anno 1661. Iniziò a studiare ottica, astronomia, ad interessarsi alla matematica, dinamica, chimica ed alchimia.
Iniziò ad approfondire anche studi sulla Bibbia. Era nominalmente anglicano, ma moralmente vicino ai Puritani, per quella austerità della disciplina e per l’inclinazione ad avere sensi di colpa. La meditazione religiosa fu una delle occupazioni importanti nel corso della sua vita, e vi sono innumerevoli e voluminose elucubrazioni sull’argomento tra le carte –cosiddete di Portsmouth- che egli ha lasciato.
Studiò un altro genio della matematica: Euclide. Tuttavia, in un primo momento, non lo apprezzò.
Approfondì la geometria di un altro grande pensatore che era Cartesio e soprattutto si soffermò su l’Arithmetica infinitorum di John Wallis, uno di quei libri che lo condussero al calcolo infinitesimale. Portò a maturazione problemi che fanno parte di quello che oggi chiamiamo calcolo differenziale e integrale. Portare a maturazione vuol dire che grazie alle sue definizioni, altri studiosi raggiunsero uno straordinario numero di risultati che erano rimasti nascosti almeno fino ai tempi dei greci.
Un tratto che lo caratterizza è la sua riservatezza. Una riservatezza che rasenta il comportamento patologico. La ritroviamo nella sua condotta, nelle sue pubblicazioni e nelle sue dichiarazioni. La divulgazione dei risultati scientifici di Newton avveniva per solito in modo peculiare e, strana anche per i suoi tempi e, nei quali i metodi di pubblicazione e di comunicazione erano diversi dai nostri. Rivelava spesso le sue scoperte, a voce, a qualche amico e di ciò sappiamo relativamente poco. Venivano poi le lettere personali ad amici e a conoscenti e ad un numero di corrispondenti selezionati. Alla fine dopo anni o decenni i risultati apparivano in stampa. Per fare un esempio, un trattato come Analysis per aequationes numero terminorum infinitas fu affidato a I. Barrow nel 1666 e questi lo comunicò tre anni dopo a J. Collins e a Lord Brouncker . Alla fine il trattato vide la stampa nel 1712.
C’è da ricordare, qualora si voglia penetrare in altri aspetti del pensiero di Newton, è indispensabile conoscere le idee correnti in epoca newtoniana, sull’alchimia, sulle idee religiose, sull’astronomia e in altri settori della cultura. Perché in fondo, questo uomo, così importante per la storia del pensiero, rimane sotto molti punti di vista, un enigma.
Lord Keynes ricorda come questo ragazzo che a soli diciotto anni era considerato il più importatane scienziato dell’età moderna, possedesse quell’incredibile dono di concentrarsi su di un problema mentale, finché non l’aveva sviscerato completamente. Teneva il problema in mente mentre applicava ad esso tutto il proprio potere di concentrazione al fine di vederne il fondo. (Emilio Segré, personaggi e scoperte della fisica classica, Mondatori, Milano1983, pag.62)
Se quel dono di concentrarsi totalmente su di un problema fosse simile a quell’immersione totale che porta, ad esempio, i grandi campioni sportivi a compiere le loro imprese?
A metà degli anni 70, lo psicologo americano Mihalyi Czilszentmihalyi ha definito con il termine flow, quella totale immersione in quello che si sta facendo: dimentichi di noi stessi e senza bisogno di uno stimolo esterno, ci abbandoniamo a ciò che facciamo, sia che si tratti di un lavoro che ci appaga, di un gioco o anche di un movimento.
Questi campioni sportivi si concentrano sui movimenti che devono compiere e li ripetono mentalmente sotto forma di istruzioni da eseguire. Certi campioni riescono a vedere se stessi in una sorta di film interiore, mentre eseguono idealmente il movimento. (D. Giovannini, L.Savoia, Psicologia dello sport, Carocci 2002).

martedì 15 gennaio 2008

Come gli alunni percepiscono le convinzioni dei genitori sulla matematica:

(Louise Lafortune, Università di Trois Aalborg – Quebec, Sviluppo della competenza emotiva. Utilizzo di attività interattivo – riflessive per assicurare l’aiuto dei genitori in matematica)
Come gli alunni percepiscono le convinzioni dei genitori sulla matematica:
un’indagine.
Quale rapporto vi è tra le emozioni e la matematica? Quali emozioni suscita questa disciplina?
Sono state poste delle domande ai bambini dell’ultimo anno delle scuole elementari.
Se i tuoi genitori avessero dovuto disegnare la matematica, che cosa avrebbero disegnato?
Perché avrebbero fatto questo tipo di disegno? Cosa dicono a casa i tuoi genitori della matematica?
Risposte:
Si è notato che parecchi ragazzi pensano che la madre farebbe un disegno che rappresenti la matematica in modo abbastanza negativo. Si esprimono così:
Sono quasi certo che mia madre si disegnerebbe mentre mi aiuta, perché ha davvero grosse difficoltà ad aiutarmi. Non capisce niente perché non ha imparato la matematica nello stesso modo.
… …
Mia madre avrebbe disegnato qualcuno in difficoltà. Una nuvoletta, o un punto interrogativo, un punto interrogativo, un punto interrogativo. Mia madre non ha imparato molto la matematica. Era povera.
… … …
Disegnerebbe una grossa nuvola nera perché non ama la matematica ed i problemi, non è il suo forte.
… … …
Mia madre penso che sarebbe confusa perché lavora un po’ con i numeri, ma non ha mai saputo se le piace.

Alcune madri avrebbero reazioni positive:
per esempio un ragazzo suppone che sua madre avrebbe disegnato un grosso cuore con matematica scritto all’interno.
Mentre per un altro alunno, il proprio padre avrebbe disegnato una nuvola grigia con all’interno dei lampi; un altro avrebbe disegnato qualche cosa di confuso.
Solo pochi padri, secondo i bambini, avrebbero dato una rappresentazione ed una immagine positiva della matematica.
Questi risultati dimostrano che degli scambi di opinione tra genitori e ragazzi circa le emozioni provate nei confronti della matematica, potrebbero avere una influenza sullo sviluppo della competenza emozionale degli alunni in matematica favorendo la comprensione di ciò che l’altro provo.
Questo permette di affermare che i genitori sono in grado di influenzare l’attitudine dei ragazzi rispetto alla matematica. La loro influenza può essere legata alle proprie reazioni affettive nei confronti di questa disciplina, al loro modo di intervenire per aiutare il figlio o alla comprensione delle cause e delle difficoltà del ragazzo. In questo senso, sembra importante sviluppare nei genitori come negli alunni la competenza emozionale. Molti genitori provano difficoltà ad intervenire nella attività del figlio, poiché proiettano su se stessi ciò che sentono nei confronti della matematica esagerando la difficoltà di un intervento in questo campo ed evitando di aiutare il figlio oppure, nell’intento di aiutarlo, mostrandogli l’intero processo risolutivo dei problemi.
E’ necessario, per questo, uno scambio più meditato, ad un ascolto più adatto e ad una comprensione reciproca delle difficoltà incontrate e delle emozioni esperite.

martedì 8 gennaio 2008

condizionamenti mentali esercitati dai differenti modelli culturali e influenza degli stereotipi sulla visione dl mondo

Ulrich Kuhnen, International University di Brema, dipartimento di psicologia
I condizionamenti mentali esercitati dai differenti modelli culturali e influenza degli stereotipi sulla visione dl mondo
Pensare in asiatico, Mente&Cervello, n.9, anno II, maggio-giugno 2004
Gli esperti di psicologia cognitiva sono convinti che i processi mentali di base siano gli stessi per tutti. Studi recenti suggeriscono però che le radici culturali condizionino, oltre al contenuto dei nostri pensieri, anche il mondo in cui li elaboriamo.
Il cervello è un computer? Gli scienziati cognitivi paragonano spesso la mente ad un computer. Il cervello corrisponderebbe all’ hardware, i processi mentali sarebbero l’equivalente del software, e i contenuti su cui riflettiamo sarebbero l’input, i dati in ingresso nel sistema. E poiché hardware e software della mente umana si sono formati in milioni di anni di evoluzione,l’esiguo periodo di tempo nel quale si sono sviluppate le diverse culture umane può aver condotto solo a mutamenti minimi dei processi di pensiero. Tuttavia, poiché la cultura influisce sui dati in ingresso, i risultati di processi mentali identici possono comunque essere diversi. Ricerche recenti legittimano però qualche dubbio su questa lettura della metafora del computer, dimostrando che persino processi di Uno degli studi più istruttivi sull’argomento è stato pubblicato un paio di anni fa dell’università del Michigan diretto Takahiko Masuda e Richard Nisbett. L’esperimento consisteva nel presentare a volontari americani e giapponesi un video con una scena sottomarina: in primo piano si muovevano alcuni grossi pesci, mentre sul fondo scorrazzavano animali più piccoli; qua e là erano visibili sassi e piante. Dopo un po’ la scena spariva e i soggetti dovevano raccontare ciò che avevano visto. Mentre le descrizioni degli americani iniziavano quasi sempre dai grandi pesci in primo piano, e solo dopo passavano ad altri particolari, quelle dei giapponesi riferivano fin dal principio anche dettagli dello sfondo, come le piante o la forma delle pietre. Alla fine, tutti i partecipanti avevano parlato in eguale misura dei pesci più visibili, ma i giapponesi ricordavano il 70% in più degli elementi secondari. Con un successivo esperimento, i ricercatori hanno dimostrato che i due gruppi culturali avevano memorizzato la stessa scena in modo diverso. Dopo la proiezione del video, sono state mostrate ai volontari varie immagini fisse della scena, nelle quali si vedeva sempre un grosso pesce. A volte questo pesce corrispondeva ad un esemplare presente nel video; altre volte sia il pesce, sia lo sfondo erano diversi; altre ancora era lo sfondo a corrispondere e non il pesce. I soggetti dovevano dire se il pesce mostrato era presente anche nella scena originale. Risultato: se il pesce appariva in ambiente mutato, gli americani lo identificavano più spesso dei giapponese, mentre questi ultimi primeggiavano quando sia lo sfondo, sia il pesce corrispondevano all’originale. L’impressione è che gli orientali percepissero ed elaborassero i grossi pesci olisticamente nel loro contesto. L’accuratezza del loro ricordo dipendeva perciò anche dalla natura dello sfondo. Gli occidentali, invece, si erano concentrati sui pesci grandi in primo piano li riconoscevano sempre con la stessa precisione indipendentemente dall’ambiente.