lunedì 8 dicembre 2008

io e la geometria

7 dicembre
Io, lo spazio, le forme, la geometria, il movimento

Quando ero piccolo
Non credo d’aver mai dato grande importanza agli spazi, alle loro forme, alle strutture delle cose.
Solo ora ripensandoci, dopo tanto tempo tutto assume una forma.
Ripenso alle parole di un insegnate di tecnica della scuola media quando diceva: una parete, il pavimento di una stanza, il piano di appoggio di un tavolo o di un banco sono costruiti con materiali diversi, mattoni, piastrelle, vetro, legno, ma hanno quasi tutti la stessa forma, la forma rettangolare.
Per chi si occupa di geometria non interessa né il materiale, né il colore, né la temperature, né il peso, … ma solamente la forma e l’estensione e qualche volta la posizione degli oggetti. Così di una piramide e di un cilindro che occupano la stessa quantità di spazio, ma non sono fatti dello stesso materiale, interessa solamente che abbiano la stessa estensione e forma diversa. Il calore, il peso, la temperatura, il materiale, … interessano altri capitoli della scienza.
A quei tempi non me ne ero reso conto, ma quel professore mi aveva insegnato qualcosa di importante: la geometria si occupa solamente della forma e dell’estensione dei corpi (ed eventualmente della loro posizione).

La scuola elementare
Era una scuola anonima, gialla e grigia, un grosso quadrato anonimo, con grandi finestre con all’interno un piccolo chiostro quadrato che fungeva da campo da calcio. Anche le porte del campo da calcio erano quadrate; così come le due fontane agli angoli del chiostro le ricordo quadrate.
Era una scuola piena di gradini, tutti rettangolari. C’erano gradini per accedere al rettangolare corridoio che conducevano alla classe di forma quadrata con grandi finestre quadrate. I banchi di legno erano dei piccoli rettangoli, mentre le sedie erano composte da due pezzi di legno di forma quadrata tenuti insieme da pezzi di ferro. La lavagna era rettangolare e grande, la cattedra rettangolare collocata su di una pedana di forma rettangolare. Ma la forma più strana era quella del cestino: in un luogo dove tutto sembrava quadrato o rettangolare, il cestino aveva una forma particolare.

La scuola media
Ricordo la prima lezione: parlava di superficie curva e superficie piana.
Il professore fece l’esempio di una palla da calcio. A quei tempi si giocava sempre e solo con la palla da calcio. Se vogliamo cambiare colore alla nostra palla dobbiamo stendere un sottile strato di vernice sulla sua superficie. Tutti gli oggetti sono limitati da una superficie che può essere curva o piana. Una biglia è limitata da una superficie curva, un cubo è limitato da superfici piane, un cilindro è limitato da due superfici piane, le due basi, e da una a superficie curva, la superficie laterale.
Allora non reputai questo concetto tanto importante, così come mi apparve priva di significato la frase: una figura geometrica è un insieme di infiniti punti. Una figura geometrica si dice figura piana se tutti i suoi punti appartengono a uno stesso piano, si dice figura solida se non tutti i suoi punti appartengono a uno stesso piano.

Al Liceo e all’Università
C’è un solo ricordo del Liceo che ha a che fare con la geometria: il postulato di Euclide.
Non credo ancora oggi d’averlo capito a fondo, ma quella definizione, quel postulato - per un punto non appartenente a una retta passa una sola ed una sola retta parallela alla retta data- non riesco proprio a dimenticarlo.
Quando andai all’Università cominciai a guardarmi attorno, ad osservare le piazze, le forme dei palazzi, i pavimenti delle Chiese, le varie forme degli oggetti, il loro movimento.
Volevo capire parole come traslazione, traiettoria, moto rettilineo uniforme, moto vario, moto uniformemente accelerato, velocità costante, velocità media, velocità istantanea, accelerazione.

Oggi quando guardo le immagini de –La Rotating Tower- il grattacielo rotante di Dubai progettato dall’architetto David Fisher, rimango ammaliato.
Un edificio di 80 piani mobili dove abitare, una macchina con piani che ruotano attorno ad una colonna centrale, che muta la sua forma esterna, dotato dal pavimento al soffitto di impianti elettrici ed idraulici.
Un edificio che mi appare come la sintesi perfetta di spazio, forme, geometria e movimento.

i frattali

6 dicembre

I Frattali:
L’indagine della natura ha trovato un nuovo codice interpretativo nella matematica. A differenza della geometria euclidea, così rigida nel rappresentare il mondo visibile, e così lontana dal poter rappresentare le forme reali, la geometria frattale è capace di raffigurare i profili di una montagna o di una costa, la nuvola, le strutture cristalline e molecolari, ed addirittura le galassie. La parola frattali definisce una rappresentazione grafica composta di linee spezzate, dall’andamento apparentemente irregolare, che sono in sostanza delle strutture matematiche, capaci di esprimere comportamenti variabili in spazi anche molto piccoli.
Frattali: Entità geometrica derivante da una costruzione che ripete, in scala sempre minore, la stessa forma iniziale. Le tecniche frattali, formalizzate nel 1975 dal matematico B.Mandelbrot, vengono utilizzate nello studio matematico di sistemi caotici e, nell’ambito della computer grafic, nella generazione automatica di immagini. L’autosomiglianza, ossia la similitudine con una propria parte, caratterizza le figure frattali, i nuovi oggetti di cui si è arricchito il panorama delle figure geometriche negli ultimi trent’anni, grazie allo sviluppo dei calcolatori e alle tecniche della computer graphics.
Popolari per le loro caratteristiche estetiche, il loro studio, da un punto di vista matematico, è sistematizzato da Mandelbrot che ha l’idea originale di iterare la semplice forma ricorsiva X2 + c dando a x e c valori complessi. Se x è un numero complesso qualunque, elevandolo al quadrato r sommando c si ottiene un nuovo numero complesso. Ripetendo per questo numero lo stesso procedimento si ottiene un ulteriore numero, e così via indefinitamente.
Questa semplice operazione di iterazione genera, sullo schermo del computer che la implementa, una figura inquietante, l’insieme di Mandelbrot. Una delle sue proprietà caratteristiche è infatti l’autosomiglianza: se si guarda il contorno della figura, una parte qualunque riproduce in scala la forma dell’insieme. Secondo Mandelbrot, la rivoluzione frattale, annuncia l’avvento di una nuova stagione nella matematica e nella scienza, una nuova geometria della natura, che consente di descrivere i più disparati fenomeni dal comportamento irregolare e caotico, dalla turbolenza alla distribuzione della materia nell’universo, e traduce in termini moderni le celebri parole di Galileo.
Galileo nel Saggiatore scriveva: le figure geometriche, piane o solide, il triangolo, il quadrato, il cerchio, il cubo, il tetraedro sono gli elementi essenziali del mondo, le strutture fondanti della realtà; infatti il grande libro della natura è scritto in lingua matematica, e i suoi caratteri sono triangoli, cerchi, e altre figure geometriche. (E’ questa di Galileo idea antica, risalente a Pitagora, a Platone che nel Timeo associa la Terra, il fuoco, l’acqua, l’aria e l’etere al tetraedro, all’ottaedro, all’icosaedro, al cubo e al dodecaedro. Naturalmente il sistema del mondo non ha nulla a che fare con i solidi platonici, tuttavia i solidi platonici cioè poliedri le cui facce sono poligoni regolari identici tra loro, e i cui vertici sono angoli eguali tra loro, rappresentano le superfici più semplici da studiare ed hanno catturato l’interesse degli uomini sin dai tempi più remoti).
In realtà, la generazione e le proprietà matematiche di figure di questo tipo erano in gran parte già note da tempo. La grafica al calcolatore ha solo consentito di tradurre in immagini quel grande arsenale di funzioni e insiemi strani e patologici scoperti dai matematici tra ottocento e novecento, rivelando le fascinose figure dai contorni frastagliati ed irregolari, che hanno fatto parlare di bellezza dei frattali.

Curiosità:
In questi anni, molti scienziati e matematici hanno iniziato a considerare la possibilità di prevedere l’andamento dei mercati in borsa. In questo ambito ha trovato un’importante spazio l’applicazione della teoria dei frattali.
Frattale è il termine coniato da Mandelbrot derivante dal latino fractus, e intendendo un oggetto, più propriamente una figura geometrica, che mostra la caratteristica di autosomiglianza, proprietà di un insieme che, se osservato nei dettagli a scala sempre più piccola, rimanesimile all’insieme di partenza. Mandelbrot si accorse che molti oggetti comuni, coste, i cristalli di neve, le nuvole, gli alberi o le catene montuose, si riconducono naturalmente a queste particolari costruzioni geometriche. Nasceva in questo modo una nuova branca della matematica chiamata geometria frattale. Mandelbrot studiando il fenomeno capì che il grado di irregolarità rimane costate su scale diverse. Lo stesso fenomeno viene riscontrato sui mercati finanziari, dove è possibile osservare comportamenti simili sui grafici giornalieri di 60 minuti o 5 minuti. Gli scienziati e i matematici hanno appurato che nei mercati esiste la tendenza a persistere in movimenti al rialzo o al ribasso per periodi prolungati, confermando così l’esistenza dei trend già esaminati dall’analisi tecnica. La scoperta e lo studio della natura frattale dei mercati finanziari dimostrano in sostanza che le distribuzioni dei rendimenti delle attività finanziarie sono delle distribuzioni frattali che godono di alcune importanti proprietà tra cui l’invarianza rispetto alla scala temporale e l’esistenza di una memoria a lungo termine che lega i dati della serie storica.

informatica e kolam

5 dicembre


Informatica e Kolam.
Per capire come un linguaggio formale possa creare una figura geometrica si può pensare a tale linguaggio come a una serie di istruzioni che dicono al computer come disegnarla.
Un esempio molto famoso è il linguaggio della tartaruga o linguaggio Logo, inventato da Seymour Papert negli anni '60 nell'ambito di un progetto educativo per i bambini.
L'idea di base è che una tartaruga può disegnare con la propria coda (sporca) un'immagine camminando sullo schermo del computer e che possa ubbidire ai nostri ordini. Avremo quindi un'istruzione per dirle "vai a destra", una per "volta a sinistra", per "vai diritto" e così via. In questo modo parlando alla tartaruga tramite questo linguaggio formale, saremo in grado di tracciare vari percorsi che creeranno di conseguenza diversi disegni.

INTERVISTA A MACCHI ALBERTO

4 dicembre
INTERVISTA A MACCHI ALBERTO

Macchi Alberto 68 anni, da sempre nel mondo dell’edilizia, per alcuni anni ha ricoperto il ruolo di responsabile progettista per –EDILNORD-.

Perché una laurea in architettura?
Da piccolo amavo disegnare. Quella creatività giovanile si è trasformata in passione, poi in studio, prima al Liceo Artistico quindi alla facoltà di Architettura, infine in un lavoro. Inoltre in famiglia eravamo tutti architetti.

Cosa le piace del suo lavoro? Cosa vuol dire oggi essere architetti?
Potere esprimere le mie idee sulla carta e vederle realizzate in pratica; risolvendo di volta in volta i problemi durante l’esecuzione dell’opera.
Essere architetti vuol dire saper mettere in pratica le nozioni apprese e secondo le capacità vuol dire tutto o nulla. E’ un lavoro che bisogna amare.

Quale rapporto ha con lo spazio e le forme?
E’ questo un problema fondamentale: la forma deve inserirsi nel modo più armonioso possibile, più razionale, più funzionale nello spazio. Questo vale sia per i piccoli spazi (arredamento di un locale), sia per i grandi spazi (l’inserimento di un edificio in un contesto esterno).

Quando progettava a che cosa pensava?
A molte cose: dimensioni, problemi da risolvere, estetica, proporzioni.
La cosa più importante quando si inizia a progettare è capire che tutte le idee che si hanno e che si pensano devono fondersi tra loro nel modo più armonioso possibile, da un punto di vista estetico e da un punto di vista pratico. La bellezza di un progetto e di un oggetto sta nel momento creativo e nelle diverse fasi di elaborazione tecnica e di produzione

Ad un giovane architetto cosa direbbe?
Direi di amare il proprio lavoro e di dedicarsi ad esso con passione e con dedizione. Anche se per la maggior parte dei giovani oggi è difficile inserirsi nel mondo del lavoro, solo con la tenacia e l’interesse per quello che si fa è possibile arrivare. L’architettura alla fine può dare grandi soddisfazioni.

Rifarebbe l’architetto?
Ho sempre amato il mio lavoro. E poi l’architettura mi ha riservato grandi soddisfazioni. Quando dalla tua creatività vedi nascere interi quartieri di città e paesi, comprendi di aver fatto buone cose.

INTERVISTA A DONATO BRAMANTE

2dicembre

INTERVISTA A DONATO BRAMANTE

Si sente un genio dell’architettura?

Penso di esserlo stato. Quando alla fine del 400, io e Leonardo volgemmo la nostra attenzione verso un sovvertimento degli aspetti più astratti della raffigurazione spaziale del primo Rinascimento fiorentino, iniziammo qualcosa di nuovo. Infatti quando la prospettiva non ci apparve più solamente come strumento scientifico per il controllato ordinamento e possesso dello spazio, corrispondente a istanze di carattere razionale, ma come un accorgimento che permette di soddisfare esigenze di natura visiva, mirante a suscitare un’emozione, riuscimmo ad offrire un contributo decisivo alla maturazione di una nuova consapevolezza delle novità rinascimentali.
Pur senza recidere i legami con l’arte gotica avviammo nell’architettura e nella scultura un nuovo corso di chiare aspirazioni classicistiche che aprì il secolo 500.

La sua opera più importante?
Un momento importante della mia vita e della mia carriera avvenne con la caduta del principato sforzesco. Dovetti recarmi nella Roma di Giulio II. Qui prosegui nelle mie ricerche di norme razionali assolute, e progettai il Convento ed il Chiostro di Santa Maria della Pace. Quest’opera fu un nuovo punto di partenza. Infatti mi preoccupai di individuare un principio di proporzionamento d’insieme, che stabiliva scientificamente la posizione e la dimensione dei singoli elementi architettonici sia in pianta che in alzato. Una volta scelto il quadrato suddividevo l’intera area a disposizione in un reticolo regolare che fissava le dimensioni degli ambienti, -cortile, refettorio e zona conventuale- e la posizione delle strutture portanti, mentre il medesimo modulo geometrico regolava le altezze, che nei due piani del chiostro erano proporzionate secondo la regola vitruviana che voleva il secondo ordine un quarto più basso di quello terreno.
Garantivo in questo modo all’organismo architettonico un rigoroso coordinamento delle parti fra loro e con l’intero edificio, conseguendo un risultato di valore assoluto.

Che ne pensa dell’architettura delle nostre città?

Alcuni progetti sembrano rivoluzionari. Pensate al progetto proposto dal coreano Daekwon Park.
L’architetto ha ideato un sistema di torri multiuso per collegare tra loro i grattacieli del futuro. Infatti i grattacieli si stagliano sulle metropoli diventandone facilmente l’icona con la loro sfida alla gravità e il valore simbolico che da sempre li accompagna. Ma è pur vero che l’unicità e l’isolamento che li contraddistingue rischia di dare luogo a un tessuto urbano frammentato, in cui ogni gigante fa vita a sé, quasi fosse una piccola città nella città. Ecco Symbiotic Interlock l’invenzione dell’architetto coreano Daekwon Park. Il quale propone un progetto che mira a trasformare gli agglomerati sempre più verticali del futuro, la cui espansione sarà favorita dalla necessità di dare risposta alla sovrappopolazione, in sistemi interconnessi ed ecocompatibili. Symbiotic Interlock evidenzia l’importanza della configurazione a moduli in grado di combinarsi tra loro e attaccarsi agli edifici esistenti in un rapporto di fusione architettonica. Viene a crearsi così una rete di torri di servizio formata da moduli che assolvono funzioni specifiche. Alcuni contengono turbine che convertono l’energia del vento in elettricità, altri sono nodi strutturali che si agganciano alle facciate o passerelle che connettono i grattacieli, altri ancora sono giardini o spazi chiusi per la vita sociale. Un’infrastruttura espandibile che, mettendo in comunicazione palazzi vicini con avveniristici ponti sospesi,ricorda lo sviluppo delle cellule neurorali.

Vuol fare un elogio ad un architetto del passato?
Vorrei fare gli auguri a Palladio per i suoi 500 anni. Ho potuto constatare che i contemporanei gli hanno dedicato una mostra –La grande mostra- con esposti più di 200 opere con fotogrammi unici ritrovati in oltre 80 musei del mondo e riportati in Italia, per raccontare la carriera di un grande genio. Palladio può ancora insegnare molto: infatti le sue opere raccontano storie di uomini che vissero i tempi difficili di una società in trasformazione. Una collettività che credeva in
un’ architettura che potesse servire a migliorare il mondo intorno a loro.
La vita architettonica di Palladio può essere letta come un percorso che a partire dagli anni 30 del 1500 attraverso le diverse esperienze, quelle di scalpellino, progettista di ville e palazzi vicentini, commesse veneziane, mostra in tutto il suo splendore l’età del manierismo.
Vorrei ricordare che Palladio riuscì con grande bravura e progettare edifici grandiosi che rispecchiavano l’orientamento culturale dei committenti, volto ad un recupero del linguaggio dell’architettura classica e secondo la tendenza espressa dai più aggiornati circoli umanistici veneti, ma che ottemperavano anche a precise esigenze funzionali derivanti dallo svolgimento dell’attività agricola. Ciò si rifletteva nella struttura stessa delle ville, che conciliavano la dignità di motivi architettonici ispirati agli edifici antichi -come l’utilizzo di fronti colonnate con timpano, tipiche del tempo classico-, con la funzionalità di parti adibite ad uso agricolo -come portici, arcate e depositi-, e con l’uso di materiali poco costosi.
Le ville palladiane possono insegnare ancora molto agli architetti contemporanei. Suddivise in due tipologie, quella in cui prevale lo sviluppo orizzontale su un unico piano, costituito da un corpo centrale più importante, destinato alla residenza dei proprietari, da cui si ripartono due ali laterali porticate, dette barchesse, a uso agricolo (esempio Villa Badoer a Fratta Polesine), e quella a blocco centralizzato a due piani, che presenta una facciata a fronte di tempio (esempio Villa Cornaro a Piombino Dese). Queste ville collocate nelle vicinanze delle città sono l’espressione di un’armoniosa integrazione tra civiltà e natura che si esprime nel rapporto continuo tra architettura e paesaggio.

Per lei chi è il più grande architetto di sempre?
Non ho molti dubbi a riguardo: Charles Edouard Jeanneret, detto Le Corbusier.
Affascinante l’idea de IL PIANO PER UNA CITTA’ CONTEMPORANEA di tre milioni di abitanti presentato nel 1922. Al centro una piattaforma doveva fungere da aeroporto con più livelli sottostanti per il traffico delle auto, della metropolitana e dei treni regionali; attorno ventiquattro grattacieli per uffici e, più esternamente, le residenze composte da edifici a sei piani à redents, a incastro, immersi nel verde.

intervista al genio della porta accanto

28 novembre

Intervista al “genio informatico” della porta accanto.
Ivano Bettoli 45 anni, una laurea in informatica, responsabile del settore informatico dell’azienda di Società di Gestione dei Servizi Comdata
Perché una laurea in informatica?
Ero più portato per le materie di carattere scientifico e tecnico e molto meno per quelle umanistiche. Tra le prime, la preferenza sarebbe andata a Matematica; ho scelto informatica perchè reputavo fosse più "spendibile" per crearmi una professione. E comunque informatica e matematica sono "parenti" abbastanza stretti. Informatica non è infatti, come taluni pensano, soltanto imparare a smanettare con i PC.
Qual è il suo rapporto con la tecnologia?
La tecnologia è quasi superfluo notarlo, ha ormai invaso la nostra quotidianità sia domestica (ci sono computer in ogni elettrodomestico, dal forno a microonde in su), sia lavorativa, con effetti talvolta un po’ discutibili.
I computer, infatti, come diceva Spock in Star Trek "sono ottimi servi, ma non vorrei mai essere comandato da essi".
Invece ciò che si nota, purtroppo, è una tendenza a trasferire ai cervelli elettronici attività che richiedono un discernimento che ancora essi non possiedono, trascurando il fatto che il miglior elaboratore mai creato si trova dentro la scatola cranica di ciascuno di noi. Peggio ancora, anche le attività non ancora delegabili agli elaboratori, vengono comunque ridotte ad algoritmi quali quelli con i quali i computer lavorano, col presupposto che sia il sistema più economico ed efficiente. Per fare un solo esempio, in campo medico è ormai raro trovare uno specialista che non si affidi totalmente alle macchine per valutare il tuo stato di salute, invece di ricorrere alle sue mani, ai suoi occhi e alla sua esperienza.
Non mi si fraintenda: non sono nemico della tecnologia; essa è, come ho detto, un' ottima serva.
Quale crede sia il rapporto tra tecnologia la scuola?
C' è un settore dove la resistenza all' invadenza della tecnologia è ancora forte: la scuola. I programmi della scuola pubblica sono ancora in buona parte quelli di secoli fa: letteratura antica e medievale, storia antica, geometria Euclidea, trigonometria....
Ci si è dimenticati che la scuola dovrebbe servire a preparare i bambini e i giovani a capire la società dove vivono e ad affrontarne i problemi. Noi invece li prepariamo a capire e ad affrontare i problemi di società che non esistono più. La geometria euclidea serviva ai nostri antenati in quanto utile strumento per le attivita' che dovevano svolgere in prima persona come la costruzione di edifici o di utensili, cose che oggi, noi, deleghiamo a persone appositamente addestrate (che non usano più, nemmeno loro, la geometria di Euclide)
E cosa è più utile? Conoscere i problemi che hanno portato alla guerra civile tra Mario e Silla o conoscere i problemi che dovettero affrontare i primi governi dell' Italia unita, problemi che ancora oggi ci portiamo dietro?. Ed è più utile conoscere la struttura della società medievale (vassalli e valvassori e servi della gleba) o conoscere la struttura delle società di oggi (democrazia, divisione dei poteri, diritti fondamentali degli individui...).
E, per tornare all' informatica, sono più utili i congiuntivi o è più utile saper usare i mezzi di comunicazione moderni, come le reti informatiche e la posta elettronica? Se oggi tu sei costretto a farti aiutare per mandare una e-mail, sei come l' uomo di secoli fa che doveva farsi aiutare per scrivere una lettera. Gli analfabeti di oggi sono coloro che non conoscono le tecnologie di uso quotidiano.

se insegnassi matematica

25 novembre

Se fossi un insegnate di matematica:
Samek Ludovici collaboratrice dell’IRRSAE Lombardia e dell’Università degli Studi di Milano Bicocca racconta che, visitando una scuola del Conncticut, trovò scritto sulla porta di ingresso di un’aula : In times of change, learners inherit the art, while the learned find themselves beautiffully equipped to deal with a world that no longer exists. –In tempo di cambiamento coloro che continuano ad imparare erediteranno la terra, mentre coloro che si considerano arrivati, saranno meravigliosamente equipaggiati per affrontare un mondo che non esiste più-(P.S.Ludovici, E.Giordano, Laboratori in rete, FrancoAngeli, Milano 2006, pag.13). Ludovici ricorda come il dinamismo della tecnologia abbia caratterizzato l’ultimo quarto del secolo scorso come “tempo di cambiamento” e come oggi una persona sia chiamata ad apprendere nuovi linguaggi e nuove tecnologie per non essere emarginato. Diventa indispensabile l’apprendimento delle materie scientifiche per confrontarsi con la realtà, per capire, progettare, trasformare, trasformarsi. (P.Guidoni, Il bambino, la scienza, la conoscenza, Atti del Convegno “Il bambino e la scienza”, Scandicci 15-17 novembre 1984, La Nuova Italia, Scandicci 1996, pag.174-186). Credo che il compito principale di un insegnante sia quello di condurre gli allievi da una dimensione inizialmente infantile ad una dimensione adulta affinché con il tempo possa giungere ad una dimensione socialmente condivisa della conoscenza.
Quindi se fossi un insegnante di matematica dovrei possedere una conoscenza approfondita della materia d’insegnamento ed una conoscenza dei programmi ministeriali. Inoltre dovrei anche capire come stabilire e trasmettere le conoscenze agli allievi, quale l’ordine di priorità all’interno di possibili argomenti e quali fra questi siano fondamentali e quali facoltativi. Dovrei capire come dosare i tempi, in modo da dare risalto a tutti gli argomenti e permettere la loro assimilazione da parte degli studenti. Il tutto nel rispetto delle leggi che regolano la sua attività in classe e tenendo conto dello spazio in cui si svolge l’attività d’insegnamento stessa. Vorrei una classe laboratorio, dove tale espressione indica non tanto un luogo adeguatamente attrezzato per un’attività particolare, né uno spazio in cui si effettuino esperimenti di varia natura, ma un progetto complessivo basato sul cosiddetto compito di realtà, in collaborazione con insegnanti di altre materie. Una classe laboratorio in cui si sottoscrive con i ragazzi un vero e proprio contratto, nel quale ci si impegna a svolgere i compiti assunti, dove vengono distribuiti compiti e richieste. Sottoscrivendo un contratto i bambini non solo sono allievi che si impegnano liberamente in un’attività, ma divengono anche persone che si caricano di una responsabilità, coinvolgendo nel proprio atteggiamento la classe intera e gli insegnati stessi. Spostando l’attenzione da una sfera puramente individuale al rispetto di un impegno comune che richiede le abilità di tutti, affinché il prodotto finale venga realizzato davvero. In questa classe laboratorio vorrei essere non più l’unico garante e depositario del sapere, non più l’unico punto di riferimento, ma solo un adulto collaboratore che si assume le stesse responsabilità dei ragazzi nei riguardi della realizzazione del compito e si trova ad affrontare i loro stessi problemi(L.Genovese, S.Kanizsa, Manuale della gestione della classe, Franco Angeli, Milano 1994, pag.440).
Se come qualcuno afferma: fare scuola non è solo fare didattica, vorrei e dovrei prestare una costante ed integrata attenzione alle dimensioni socio-affettive e più in particolare alle relazioni affettive nella classe. Consapevole che la classe ha prevalentemente compiti di apprendimento, e che questo apprendimento è condizionato dal clima della classe, dove la presenza di una forte conflittualità non può che ostacolare l’acquisizione del sapere.
Obbiettivi del mio lavoro dovranno essere un’attenta programmazione di itinerari di lavoro in relazione agli obiettivi identificati; un’attenzione e alle caratteristiche del contesto e una progettazione che si sofferma su attività concrete. Il tutto dovrà attuarsi grazie a processi di comunicazione e di interazione.