lunedì 8 dicembre 2008

l'india e la matematica

I risultati di varie esperienze ed osservazioni hanno messo in evidenza l’impatto di un insieme di fattori –in particolare la lingua, i comportamenti famigliari, la pedagogia- ma le nostre conoscenze attuali non permettono ancora di determinare il peso rispettivo di questi fattori e le loro eventuali interazioni. I diversi risultati ottenuti hanno portato ad interrogarsi sulle capacità matematiche degli esseri umani, e poi su quelle di altre specie. Negli ultimi vent’anni si sono moltiplicati i lavori sulle capacità aritmetiche di base degli adulti e dei bambini e sui processi cognitivi che intervengono durante lo sviluppo per metterle in moto. Per esempio è stato studiato come si effettuano le addizioni semplici, da quali fattori dipendono l’esattezza e la velocità della loro soluzione, quali sono gli errori più comuni, quando e come bambini finiscono per impararle. Il risultato di questi studi è un’affascinante miscela di influenze culturali e di fattoti (probabilmente) biologici .

IV) Il sorpasso dei bambini asiatici.
I bambini acquisiscono in primo luogo la sequenza dei numeri (uno, due, tre e così via) propria della loro lingua e della loro cultura. Questo apprendimento solleva problemi specifici, che risultano evidenti effettuando un confronto tra i sistemi linguistici asiatici e quelli occidentali.
Fino all’età di tre anni, alla richiesta di contare verbalmente fino al numero massimo possibile, le prestazioni dei bambini asiatici sono equivalenti a quelli dei bambini americani o italiani. In realtà, sia gli uni che gli altri devono memorizzare la sequenza dei primi nomi dei numeri (da uno a dieci).
Ma a quattro, e poi a cinque anni, si apre un divario tra i bambini asiatici, le cui prestazioni migliorano molto rapidamente, ed i bambini occidentali, che progrediscono molto più lentamente. Questo è dovuto alle caratteristiche dei sistemi verbali di numerazione: ad esempio quelli dei cinesi o dei coreani rendono molto evidente l’impiego della base dieci (si dice dieci-uno per undici; dieci-cinque per quindici; tre-dieci-otto per trentotto) mentre nei sistemi occidentali questo appare solamente più avanti nella catena verbale (diciassette in italiano). I bambini francesi, poi, si trovano in una situazione ancora più delicata, a causa dell’esistenza delle decine complesse: sessanta-dieci (in italiano settanta), quattro-venti (ottanta) e quattro-venti-dieci (novanta): una complessità che ritarda l’apprendimento e provoca errori. L’acquisizione della sequenza dei nomi dei numeri ha una influenza diretta sulla capacità di gestire mentalmente le quantità, perché permette di richiamare i numeri, combinarli, memorizzarli. Essa dipende, come abbiamo visto, dalle caratteristiche del sistema proprio di ogni lingua e solleva problemi specifici legati, per esempio, alla regolarità e alla sistematicità della costruzione dei nomi dei numeri complessi. Inoltre, questo tipo di acquisizione spiega almeno in parte le differenza nelle prestazioni osservate prima della scolarizzazione tra i bambini asiatici e occidentali. Fino a tre anni, i bambini cinesi e i bambini americani sanno contare fino a nove o dieci, ma a quattro anni la situazione cambia radicalmente: i piccoli cinesi imparano a contare fino a cinquanta, mentre gli americani arrivano soltanto fino a quindici. Questo spiega anche perché i bambini asiatici imparano più facilmente a scrivere i numeri in cifre arabe (12, 25, 43…) rispetto ai bambini occidentali. Semplicemente perché ritrovano nel codice indoarabo una organizzazione in base 10 (10, 11, 12, 13…) che i loro coetanei occidentali non possono percepire altrettanto facilmente e precocemente nelle loro denominazioni di quantità complesse.
Gli studi sullo sviluppo dei bambini durante la scuola elementare mostrano che i bambini asiatici usano le stesse strategie di soluzione delle operazioni dei bambini occidentali. Tuttavia, la distribuzione di queste strategie si differenzia molto presto: i bambini asiatici ricorrono più rapidamente alle strategie più evolute, perché hanno più memoria libera per impararle, dato che la memoria è poco sollecitata dal numero stesso. Prendiamo il caso che si debba memorizzare sette per otto uguale a cinquantasei. Anche se la cifra sette può sembrare corta da pronunciare, in realtà, da un punto di vista fonologico, è abbastanza lungo.
La lentezza della pronuncia limita le risorse di attenzione disponibili ai bambini occidentali, per cui la pronuncia della frase sette per otto uguale a cinquantasei è più lunga, e quindi più difficile da memorizzare. Di conseguenza i bambini occidentali memorizzano meno facilmente i risultati delle operazioni. Le proprietà della lingua cinese, dei nomi dei numeri e del fatto che sono costruiti in accordo con la base dieci, favoriscono le prestazioni numeriche.
Per colmare il divario dei paesi occidentali, è stato ideato un metodo per insegnare la numerazione come se si contasse in cinese: si direbbe dieci-uno invece di undici, dieci-due invece di dodici e via dicendo. Generalizzare questo approccio potrebbe essere interessante.
Gli aspetti culturali legati alle caratteristiche delle lingue e dei modi di denominazione delle quantità contribuiscono precocemente a creare delle differenze nelle prestazioni che si manifestano prima della scolarizzazione. Queste differenze nascono dalle conoscenze implicite che i bambini acquisiscono grazie alle interazioni quotidiane, e che hanno una influenza notevole sugli apprendimenti successivi: Per esempio quello della numerazione scritta con le cifre arabe o quello delle operazioni aritmetiche. La cultura ed i sistemi verbali della numerazione influiscono sull’età delle primi operazioni e sull’efficacia con cui sono calcolate .



V) Valorizzare la matematica
Si può notare che la memorizzane dell’insieme delle tavole di addizione e di moltiplicazione non è perfetta nella maggior parte dei bambini e nemmeno negli adulti. Le grandi addizioni per esempio 7 + 8, sono spesso calcolate contando, sono soggette ad errore e sono relativamente lunghe da effettuare. Perché la memorizzazione si effettui per intero è senza dubbio necessario che la scuola lo imponga, lo valorizzi e ne assicuri la pratica. Questo investimento ha un costo: i paesi asiatici hanno una cultura che valorizza l’aritmetica, mentre in Francia e in Italia l’aritmetica non è oggetto della stessa attenzione nell’educazione dei bambini , né nella vita di tutti i giorni né a scuola. L’Estremo Oriente rappresenta la cultura del contare bene, ma questo non dipende assolutamente da presunte differenze biologiche tra asiatici ed europei. Tutti hanno lo stesso cervello. Prima ancora di saper parlare, i neonati sono dotati delle stesse capacità di individuare e discriminare le piccole quantità fino a tre, e in particolar modo le differenze sono associate a variazioni di lunghezza o di volume. Inoltre i neonati sono capaci di distinguere anche quantità più grandi, a condizione che le condizioni siano sufficientemente marcate. Perché tutto cambia nel momento in cui iniziamo a parlare? Perché le parole delle lingue asiatiche che designano i numeri sono più adatte al sistema decimale e sono più rapide da pronunciare, cosa che libera dello spazio nella memoria per effettuare delle operazioni. Ma, soprattutto, la società e le scuole asiatiche valorizzano di più la matematica, l’aritmetica, consacrandole più tempo e attenzione, cosa che contribuisce, verosimilmente, in nostro sfavore, alla situazione attuale .

VII) Il sistema di numerazione indiano.
Furono forse i matematici indiani a rendersi conto della applicabilità del "valore locale" o di posizione alla notazione decimale per i numeri interi. Lo sviluppo della notazione numerica sembra aver seguito in India lo stesso schema che si riscontra in Grecia. Le iscrizioni del periodo più antico mostrano dapprima semplici trattini verticali, disposti a gruppi; nel III secolo a.C., però, era già in uso un sistema simile a quello attico. Nel nuovo schema si continuava ad usare il principio ripetitivo, ma venivano adottati nuovi simboli di ordine superiore per indicare quattro, dieci, venti e cento. Questa scrittura, detta Karosthi, venne gradatamente sostituita da un'altra notazione, nota come notazione in caratteri Brahmi, che presentava un'analogia con la notazione alfabetica delle cifre del sistema ionico dei greci. Per passare dalle cifre in caratteri Brahmi all'attuale notazione per i numeri interi sono necessari due passi. Il primo è il riconoscimento che, attraverso l'uso del principio posizionale, le cifre indicanti le prime nove unità sono sufficienti per descrivere anche i corrispondenti multipli di dieci e ogni sua potenza. Non si sa quando sia avvenuta la riduzione a nove cifre; è probabile che tale transizione sia avvenuta in modo graduale. Va notato che il riferimento a nove cifre, anziché a dieci, implica che gli indiani non avevano ancora fatto il secondo passo verso il sistema moderno di numerazione, ossia l'introduzione di un simbolo per lo zero. Pare che la prima comparsa di uno zero in India si trovi in una iscrizione dell'876, cioè oltre due secoli dopo il primo riferimento alle altre nove cifre. E' probabile che lo zero abbia avuto origine nel mondo greco e sia stato trasmesso all'India dopo che vi si era consolidato il sistema posizionale decimale. La storia del simbolo per lo zero nella notazione posizionale è ulteriormente complicata dal fatto che il concetto di zero fece la sua comparsa indipendentemente, molto prima di Colombo, tanto nell'emisfero occidentale quanto in quello orientale (si consideri, per esempio, il sistema di numerazione dei maya).
Con l'introduzione, nella notazione indiana, di un segno rotondo a forma di uovo per indicare lo zero, veniva completato il moderno sistema di numerazione per gli interi. Anche se l'aspetto delle dieci cifre era molto diverso da quello attuale, i princìpi di base (base decimale, notazione posizionale e simboli diversi per le dieci cifre) erano comunque acquisiti. Nessuno di questi princìpi venne originariamente inventato dagli indiani, ma va loro riconosciuto il merito di averli, per la prima volta, collegati.

VIII) Non sai risolvere un problema? Chiama il matematico indiano
A Bangalore c’è un gigantesco ufficio dove per 99 dollari al mese i professionisti dell’algebra risolvono equazioni per gli studenti occidentali . Bangalore - Kenneth è convinto che la matematica sia un’opinione: i conti non tornano mai. Non è davvero colpa sua, i numeri non amano i bambini, soprattutto quelli normali, i figli dell’Occidente. Il maestro ci prova, spiega le leggi dell’aritmetica e dell’algebra, gioca con le tabelline. Il risultato è che Kenneth prende sempre insufficiente. Che fare? La soluzione la trova il padre camionista. Serve un matematico, ma le ripetizioni private costano una fortuna: cinquecento dollari al mese. L’ultima speranza è a est. L’India è la risposta. Tutor Vista è l’internet company fondata due anni fa da Krishnan Ganesh, è una società di tutoring on line, che conta già dieci mila clienti negli Stati Uniti e mille nel Regno Unito. «Il nostro obiettivo è diventare parte del budget mensile di un milione di famiglie», dice Ganesh. Per il progetto ha raccolto più di 15 milioni di dollari e i finanziamenti arrivano da Sequoia Capital India, Lightspeed Venture Partners e la Silicon Valley Bank. Al momento TutorVista impiega 760 persone di cui 600 tutor indiani, ma punta a raddoppiare il numero di dipendenti entro l’anno. Il suo segreto, secondo gli analisti, sta soprattutto nel prezzo. Mentre le altre società del settore chiedono dai 20 ai 60 dollari all’ora, Ganesh offre lezioni personalizzate da 45 minuti ciascuna per 99,99 dollari al mese, e i primi 30 giorni di tutoring sono in offerta speciale a 49,99 dollari. E i consumatori sono soddisfatti. «È incredibile ma funziona, ha commentato il padre di Kennet. Dopo un anno con Tutor Vista mio figlio ha finalmente migliorato i propri voti e anche i punteggi nei test scolastici».
IX) Simpu, 8anni, genio della matematica .
Il cuore della matematica abita a Bangalore. Come un gigantesco call center dove per 99 dollari al mese un esercito di professionisti del calcolo risponde alle telefonate che arrivano dall’altra parte del mondo 24 ore su 24, ascolta il problema e snocciola soluzioni. È il sogno di tutti gli studenti che hanno maledetto la matematica. I tutor sono circa 600. Il tutor di Kenneth si chiama Ramya Tadiconda, ha 26 anni e da grande vorrebbe diventare un fisico nucleare. Qui, nel cuore antico dell’Asia, i numeri scorrono nel Dna. Basta ricordare l’epopea di Ramanujan, il più geniale matematico che il Novecento abbia mai visto passare. È morto a solo 33 anni, ma ha lasciato il segno. È stato un Mozart dell’analisi matematica. Ha lasciato una serie di taccuini zeppi di formule e ancora ci si chiede come abbia potuto scoprirle senza poterne dare vere dimostrazioni. Sono stati gli altri, quelli venuti dopo di lui, a dimostrare che aveva ragione. Si racconta che l’inglese Hardy chiese a Ramanujan, malato di tubercolosi nell’ospedale di Putney: «Il numero del mio taxi è il 1729, sembra un numero alquanto stupido». Il genio di Madras rispose: «No Hardy, ti sbagli. È un numero molto interessante. È il più piccolo esprimibile come somma di due cubi in due diversi modi: 1729=103 e 1729=123+13». Hardy insegnava matematica a Cambridge, Ramanujan, poverissimo e con una moglie da mantenere, lavorava come impiegato al porto con uno stipendio di 20 sterline l’anno.
La storia si ripete, con gli studenti del ricco Occidente che inviano al tutor indiano l’esercizio e, tra una partita alla playstation e un’abbuffata di tv, aspettano la soluzione. È l’effetto della globalizzazione, i vantaggi della rete, di internet, l’importanza di avere una webcam per annullare le distanze.
Un giorno qualcuno di loro rischia di imbattersi nel piccolo Simpu, un ragazzino indiano di otto anni che strabilia il mondo con le sue capacità di calcolo. Il suo talento è stato svelato, quasi per caso, da un gruppo di matematici dell’Indian Institute of Technology. Era scappato di casa e viveva di espedienti, sotto i ponti o nelle stazioni ferroviarie. Si guadagnava qualcosa cantando e chiedendo l’elemosina. «Mio padre mi picchiava - racconta - così sono scappato di casa. Con le canzoni guadagnavo 90 rupie al giorno (circa un euro e ottanta) e almeno 70 le spendevo per la droga».
I matematici che l’hanno scoperto - insieme a un gruppo di altri 300 bambini poveri e semiabbandonati - vogliono dimostrare la predisposizione genetica degli indiani alla legge dei numeri. Questo Paese vanta dopotutto il maggior numero di premi Nobel in campo matematico-scientifico. Lo sa bene anche Krishnan Ganesh. La sua intuizione nasce da un semplice ragionamento. In America e in Inghilterra ci sono tanti studenti, con soldi, che odiano la matematica. In India il talento abbonda, mancano i soldi. Basta connettere i due mondi e non dare troppo peso al fuso orario. In questa storia chi ci guadagna più di tutti è l’intermediario, quello che ha tracciato una rotta da Est a Ovest.

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